Il decreto legislativo 4-03-10 n. 28 e il successivo
D.M. 18-10-10 n. 180 hanno introdotto nell’ordinamento
giuridico italiano, in attuazione dell’art. 60
della Legge 18-06-09, una compiuta disciplina della mediazione
delle controversie civili e commerciali. All’art.
5 il decreto legislativo prevede l’obbligo di esperire un
tentativo di mediazione prima di iniziare un giudizio
in materia di divisione, successione ereditaria e patti di
famiglia; oltre che in numerose altre materie.
Tralasciando di considerare la materia dei patti di famiglia,
disciplinata dall’impianto del decreto legislativo
n. 55/2006, che fino a oggi ha avuto scarsa applicazione,
l’attenzione per quel che riguarda la famiglia si
concentra soprattutto sui giudizi in materia di divisione
e di successione ereditaria. Il Legislatore ha previsto
il previo tentativo di mediazione quale condizione di
procedibilità di questi giudizi. Si tratta di vicende processuali
alquanto frequenti e che concernono il passaggio
generazionale del patrimonio familiare.
Il fatto che il Legislatore abbia contemplato le controversie
in questa materia come meritevoli di un’istanza
di composizione stragiudiziale della lite, qual è quella
offerta dalla mediazione, deve fare riflettere.
Ciò che connota, come è immediatamente evidente,
queste controversie è la natura dell’oggetto del contendere
e la qualità dei contendenti.
L’oggetto del contendere riguarda il patrimonio che
è stato accumulato dalla famiglia nel corso di una generazione,
ovvero dalle generazioni precedenti, al momento
del passaggio alla generazione che segue. Può
trattarsi non solo di beni materiali, mobili o immobili,
ma anche di beni di natura immateriale, come è nel caso
dell’azienda di famiglia.
Al momento del passaggio generazionale, il valore
del patrimonio può essere completamente conservato
se vi sia un solo discendente, fatte salve le decisioni di
quest’ultimo. Sussistono problemi di conservazione, invece,
quanto più sono i discendenti o, in caso di successione,
gli eredi. In
quest’ultimo caso, come è
ovvio, si pone uno sforzo
di riflessione per salvaguardare
il valore del patrimonio
comune. La divisione,
se non ben condotta,
può comportare pregiudizi
apprezzabili e notevoli.
Addirittura, anche
il venir meno dei beni immateriali
come, per esempio,
un’azienda.
Quanto ai contendenti,
si tratta di norma, di fratelli
e sorelle, germani o unilaterali
che siano; in inglese
si usa il termine siblings
o sibs. Purtroppo in questi
contesti, più che altrove,
le risorse vengono sempre
percepite come scarse,
per quanto grandi possano
essere le ricchezze.
Questa percezione soggettiva
determina condotte
di negoziato spesso di natura
avversariale con pregiudizio
tanto della relazione
quanto della salvaguardia
dei valori.
I fatti ereditari sono stati
sino a questo momento
tema alquanto negletto
dagli studi sulla famiglia
in area psicosociale. Tuttavia
queste vicende hanno
un notevole impatto sulle
famiglie. L’indagine giuridica,
al contrario, ha concentrato,
specie da ultimo,
discreta attenzione ai
temi relativi alla successione
ereditaria e al trasferimento
del patrimonio familiare
tra le generazioni.
La materia necessita,
però, di un approccio interdisciplinare.
Come scriveva Jean Carbonnier:
«… una famiglia
è questo: generazioni che
scivolano l’una nell’altra,
diverse, non avverse; una
fedeltà invisibile sotto rotture
esteriori; un serpente
che cambia pelle, ma
conservando oscuramente
un po’ dei suoi sogni
da una muta all’altra».
L’eredità è un simbolo
che vale a significare non
solo terra, casa e denaro
che passano tra le generazioni,
ma anche fiducia,
amore e potere e il senso
di giustizia entro la storia
della famiglia e i riti del familiare.
Tutte queste variabili
vanno prese in considerazione
quando si tratta
di favorire il passaggio generazionale,
salvaguardando
il valore dei beni e il
fondamentale benessere
delle relazioni familiari.
I problemi principali sono
due: le apparenti impossibilità
di dividere tutti
i cespiti dell’asse ereditario
adeguatamente e di
raggiungere soluzioni di
giustizia condivisibili per
tutti gli eredi. Alcuni beni
sono indivisibili ma desiderabili
per tutti, come
l’antico orologio del papà
o il quadro più bello, forse
di maggiore valore o
l’anello di matrimonio
della mamma o quello
con il brillante. Il valore
dei beni è economico ma
anche simbolico. C’è un
sentimento di giustizia
nella famiglia e la trasmissione
ereditaria lo riguarda
più di ogni altra cosa;
ma i contendenti hanno
diverse percezioni di ciò
che è giusto per loro e per
la famiglia.
Il senso di giustizia riguarda
non solo l’equità
della divisione, ma anche
valutazioni circa il merito
che l’uno o l’altro dei confliggenti
può avere acquisito
nella cura del legame
o del patrimonio familiare;
merito che può dare o
non dare diritto ad avere
qualcosa dell’eredità,
qualcosa in più. Sono diversi
i sentimenti di giustizia
degli eredi ed è ciò
che genera maggiormente
il conflitto. Anche
quando la successione sia
preparata da disposizioni
testamentarie può generarsi
contrasto. La rivalità
nella fratria può portare a
misurare la quantità di
amore dei genitori con la
quantità dei beni lasciati.
Alcuni sono così devastati
dalla percepita ingiustizia
nelle disposizioni testamentarie
da interrompere
qualsiasi legame con
i parenti, indipendentemente
dalla pregressa positiva
relazione. Molto
spesso la contesa viene
portata sul piano giudiziario,
o facendosi valere il
sospetto di ingiuste pressioni
sui genitori all’atto
del testamento o di falsi,
ovvero tramite verifica del
rispetto delle quote di legittima
riserva indisponibili
per il testatore o anco-ra facendo applicazione
del meccanismo della collazione
delle donazioni
fatte in vita dai genitori.
I problemi ovviamente
sono ancora maggiori nelle
famiglie allargate o ricostituite
dopo precedenti
separazioni. Ancora più
complessi quando l’azienda
è familiare. È un processo
di decision-making
che coinvolge due generazioni
e richiede un approccio
integrato con attenzione
agli aspetti legali,
finanziari e relazionali.
Gli obiettivi sono: preservare
il ricordo di chi lascia,
curare il legame familiare,
soddisfare il senso
di giustizia di ciascuno,
mantenere la privacy sulla
vicenda familiare e non disperdere
il valore del patrimonio
La famiglia oltre a essere
il nucleo fondante e
fondamentale della comunità
e della società sotto il
profilo relazionale è elemento
cardine dell’economia
nel senso più pregnante
del termine.
La famiglia produce e
consuma ricchezza, in senso
vero e metaforico, alimenta
il flusso di denaro
e anche quello generazionale,
condiziona e influenza
sia positivamente
sia in maniera negativa
l’ambito di appartenenza
e il contesto nel quale si
trova ad agire. Rappresenta,
quindi, la più piccola
ma importantissima gestione
e amministrazione
economica nella quale si
ritrovano tutti gli elementi
costituenti una qualsiasi
azienda, e dove ruoli,
compiti, diritti, doveri, relazioni,
attività, progetti,
scelte, crescita e decrescita
si muovono e interagiscono
al suo interno con
riverberazioni osmotiche
fuori da essa. La famiglia
ha come “mission” la procreazione
e la crescita dei
figli e quindi il denaro
prodotto serve principalmente
a questo obiettivo.
Come in qualsiasi azienda
vi sono costi e ricavi,
utili e perdite, ma quello
che c’interessa capire è come
il valore dei beni che,
a un certo punto della storia
generazionale passano
di mano da padre in figlio,
debbano o possano
generare conflitti, alcuni
gravissimi, tali da distruggere
patrimoni e relazioni
per sempre. Mentre siamo
più disposti ad accettare
e capire la crisi aziendale
e il fallimento economico
in generale ci stupiamo
e ci dispiace sempre
se questo tipo di difficoltà
colpisce o travolge la famiglia,
spesso in coincidenza
con la morte del capo
famiglia che solitamente
lascia un testamento, depositario
delle volontà circa
la successione dei bei,
delle cose, del patrimonio
familiare ai figli o a coloro
che vengono designato
come eredi.
I motivi possono essere
molti e a volte molto lontani
ma senza dubbio si
può affermare che la successione
generazionale
deve essere preparata per
consentire che non avvengano
le crisi già descritte.
Il modo migliore per evitare
conflitti e favorire il
passaggio generazionale
sarebbe dirlo prima e non
tenere nascosto il testamento:
adempiere a
un’obbligazione generazionale,
come già aveva
probabilmente fatto la
precedente generazione.
Le relazioni che nascono
e crescono in una famiglia
vengono alimentate e
nutrite anche dal denaro
e dai beni in godimento a
tutta la famiglia, in misura
e modalità diverse. I beni
materiali che circolano
più o meno abbondanti
in famiglia hanno un valore
che viene letto e sentito
come somma di una cifra
numerica e di senso relazionale.
I doni ne sono
il classico esempio: l’iniquità
nel loro uso può ingenerare
gelosie fra coloro
che li ricevono.
Quindi la crescita umana
dei figli riguarda anche
l’acquisizione del senso
e dell’uso del denaro e
la responsabilità che ciascun
membro della famiglia
ha nei suoi riguardi
con il rispetto dovuto e,
aggiungiamo, con la giusta
distanza da esso nel
considerarlo un mezzo e
non il fine. Ma accade
che per rapporti genitoriali
che difettano di elementi
relazionali solidi e
di legami familiari armonici
e armoniosi e per
molte altre motivazioni
psicologiche che hanno
alla base conflitti non risolti,
sensi di colpa, gelosie,
vendette, incomprensioni
più o meno profonde,
incapacità comunicative,
poca chiarezza progettuale
con scelte conseguenti
nebbiose, torti veri
o presunti che cadono dalle
generazioni precedenti,
il patrimonio divenga il
territorio dove combattere
e tentar di superare il
conflitto generazionale.
Il conflitto, infatti, non
riguarda solo il valore economico
ma investe un formidabile
set di fattori psicologici
correlati alla storia
di famiglia: rivalità tra
fratelli e sorelle, figli buoni
e meno buoni o tali percepiti,
consegne ricevute
e adempiute o disattese,
segreti, ideali, bandiere.
Se prima non c’è stato
un lavoro serio e diligente
di costruzione di legami
forti, scattano i meccanismi
dell’“io vinco” e “tu
perdi”, si fa sentire forte
la sensazione di mancanza,
e il conflitto, nel momento
della perdita e
quindi della debolezza relazionale,
trova humus
per crescere ed entrare in
escalation. I figli, rimasti orfani
di padre o madre, se
non preparati al passaggio
di ruolo, di responsabilità
e di ricollocazione
nel nuovo nodo relazionale
all’interno della famiglia,
dichiarano la loro insoddisfazione,
frustrazione
e dolore attraverso il
denaro che diviene il veicolo
immediato dove innescare
la miccia del disaccordo
che è solo lo
strumento di rivendicazione
affettiva di una relazione
che non ha soddisfatto,
di amori parentali scarsi
o insufficienti, di disuguaglianze
e disparità di
giudizio e di valore che
non avendo avuto parola
prima si scatenano nella
lotta successoria.
Le divisioni giudiziarie
o le semplici liti familiari
per la “roba” di verghiana
memoria, sono i risultati
della mancanza di alcuni
passaggi importanti di crescita
nella famiglia, passaggi
segnati anche e soprattutto
dalla scomparsa
dei nodi generativi e
dall’impreparazione al loro
rimpiazzo.
Finiscono in tribunale
la maggior parte dei casi
di crisi nel delicatissimo
momento di passaggio o
semplicemente si apre in
famiglia una crisi relazionale
che, a volte, passa di
generazione in generazione,
supportata dal dissidio
patrimoniale.
La mediazione, invece,
offre una validissima alternativa
che sembra perfetta
ad accogliere e dirimere
il conflitto in quanto è
in grado di accogliere
non solo la domanda rispetto
al “quanto” come
bene, ma soprattutto di
ascoltate il bisogno rispetto
alla “mancanza” come
relazione.
Il percorso che oggi offre
la legge, consente alle
parti di trovare uno spazio
e un tempo dove raccontare
al mediatore i motivi
del conflitto non solo
come pretesa economica
ma soprattutto di trovare
accoglienza rispetto a ciò
che la pretesa sottende.
Infatti negli incontri separati
che prevede il percorso
di mediazione, le parti
parlano e si raccontano in
totale riservatezza e il mediatore
garantisce l’imparzialità
e decide i tempi
che una questione complessa
come quella successoria
richiedono.
L’avvicinamento che si
costruisce con le tecniche
mediative e con l’abilità
relazionale del mediatore
aiuta la costruzione di un
ponte relazionale, mattone
dopo mattone, trovando
motivi per iniziare a
pensare di ritornare a parlare,
di trovare soluzioni
da discutere e condividere,
di ricreare legami.
Il potere della mediazione,
soprattutto in conflitti
come quello generazionale,
è quello di lavorare
sul far sperimentare alle
persone l’ascolto attivo
e la presa in carico di tutto
quanto di emotivo accompagna
un percorso
dove il conflitto è impre-gnato di cose non dette e
soprattutto di emozioni e
sentimenti non espressi e
tanto meno agiti. Pur non
essendo uno strumento
psicologico, la mediazione
è in grado, attraverso i
suoi professionisti, di contenere
quella parte profonda
e sconosciuta che,
in caso di percorso giudiziario,
viene tralasciata e
che nei conflitti generazionali
è sempre la più cospicua
e dove sempre ci
sono le ragioni e i motivi
del contendere.
La mediazione
dà voce ai silenzi e
spazio alla fatica di andare
avanti con l’equi-vicinanza
del mediatore, la
sua positiva proposizione
e abilità comunicativa.
La successione ereditaria,
sia che possa essere attuata
in vita, sia che debba
avere luogo dopo, necessita
di un momento e
un luogo di decisione.
È necessario creare un
ambiente dove ciascun
membro della famiglia si
senta considerato, accolto
e ascoltato, e venga a conoscenza
di quello che è
il posto che occupa all’interno
dell’intreccio della
storia familiare. Un ambiente
in cui possono essere
invitate anche le persone
estranee, ma che risultano
significative per le relazioni
familiari.
Uno spazio neutro e sicuro
in cui possa essere ricostituita
un’adeguata comunicazione
per diminuire
le possibilità di conflitto,
superare gli ostracismi
e altre terribili dinamiche.
Ricostruire la fiducia
è fondamentale per far riprendere
la possibilità del
dialogo. Ci si rende conto
che questo percorso non
è affatto facile, e richiede,
di norma, una terza parte
che abbia esperienza del
“comunicare familiare” e
delle dinamiche di questo
contesto.
Una terza parte che
consenta di condividere
regole di base e un’agenda
del negoziato, e di rendere
chiari obiettivi di discussione,
percezioni di
giustizia, differenti significati
sugli oggetti e opzioni
di distribuzione.
Come specificato all’inizio
di questo contributo,
il decreto legislativo 4
marzo 2010 n. 28 introduce
uno spazio importante
in questo contesto, offrendo
alle famiglie una possibilità
concreta di affrontare
e superare in maniera
produttiva i conflitti ereditari,
senza onerosi percorsi
giudiziari e lacerazioni
relazionali e affettive, ma
attraverso accordi condivisi
e un percorso nel quale
poter rigenerare i legami
familiari integrando e aggiungendosi
alla più conosciuta
“mediazione familiare”
che si pone l’obiettivo
di aiutare le famiglie in
percorsi di separazione.