Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
lunedì 17 marzo 2025
 
dossier
 

Il Pg di Napoli Riello: «Basta don Abbondio, via dalle chiese le offerte che grondano sangue»

21/01/2022  Alla vigilia dell'inaugurazione dell'Anno giudiziario il Procuratore generale di Napoli Luigi Riello ha lanciato un duro appello alla Chiesa, chiedendo a tutti i parroci della Diocesi di seguire senza esitazioni l'esempio dell'Arcivescovo Battaglia nel rifiutare con decisione ogni ambiguità tra camorra e religione

È un appello accorato, ma senza sconti quello che il procuratore generale della corte d’Appello di Napoli Riello ha affidato ai cronisti nella conferenza stampa che precede l’inaugurazione dell’Anno giudiziario, il 21 gennaio 2021 in Cassazione e il 22 nelle Corti d’Appello, benché in forma ridotta a causa della pandemia (la foto si riferisce all'inaugurazione del 2019).

Ha chiamato in causa i don Abbondio, ha invocato l’alleanza della Chiesa nel contrasto alla camorra, contando sulla presenza di un arcivescovo come don Mimmo Battaglia, come ancora ama farsi chiamare, che sul tema della commistione ambigua tra religione e criminalità organizzata ha avuto da subito gesti e parole chiare. «Bisogna creare», ha tuonato il procuratore generale, «un cordone culturale attorno alla camorra e anche i parroci devono essere uomini di fegato. Via i don Abbondio, perché se mettiamo i don Abbondio nelle parrocchie continueremo a vedere lo sconcio di mani grondanti di sangue che danno offerte che alcuni accettano».

Sa il procuratore generale che nelle pieghe dell’ambiguità, della religiosità di facciata, le organizzazioni criminali in terra di criminalità organizzata cercano e a volte trovano in consenso. Sa che la Chiesa può essere e spesso è un importante alleato nel contrasto.

Il tema da tempo non è più tabù: chi non ricorda l’anatema di Giovanni Paolo II sulla piana di Agrigento, il 9 maggio del 1993. Sono rimaste scolpite nella memoria le sue parole a braccio: «Questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane, devono capire, devono capire che non si permette uccidere innocenti! Dio ha detto una volta: “Non uccidere”: non può uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio! Qui ci vuole civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via verità e vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!».

Sono passati quasi trent'anni, tantissima strada è stata percorsa, ma la guardia, fa intendere il procuratore, non può essere abbassata,  ricorda che vanno tagliati i ponti a quella che percepisce ed è stata indicata tante volte da papa Francesco come una insanabile contraddizione: «Quando parliamo di tagliare i fili culturali», ha spiegato, «con la camorra penso soprattutto alla chiesa. Abbiamo un arcivescovo, don Mimmo Battaglia, che ha iniziato molto bene il suo ministero con la rimozione, da una chiesa di Marano, di 3 quadri di valore che erano lì da 30 anni, con tanto di targa a ricordare “Dono di Lorenzo Nuvoletta”. In don Mimmo possiamo avere un interlocutore forte e credibile. L’anatema della Chiesa da solo non sconfigge la camorra, ma è certo che i camorristi sono, come i mafiosi, molto vicini alla chiesa: vanno a messa, portano i santi patroni, elargiscono donazioni, si avvicinano ai sacramenti. Questa gente deve uscire dalle chiese: non si può entrare in un luogo di culto con in una mano una pistola e nell’altra il rosario».

E ancora: «Va tolta autorevolezza a queste persone – evidenzia Riello – questa cosa deve assolutamente finire. Con questo arcivescovo e tanti sacerdoti, come don Tonino Palmese, che già operano da anni con grande coraggio e incisività nell’associazionismo sia laico che cattolico e possono interagire con altri pezzi della società civile, penso che potremo fare un grande balzo in avanti in questo settore».

Segui il Giubileo 2025 con Famiglia Cristiana
 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo