Alba Rohrwacher con la Coppa Volpi. Nella foto di copertina, il regista Roy Andersson con il Leone d'Oro
Dopo mezz'ora dall'inizio della proiezione del film "Un piccione seduto sul ramo riflette sull'esistenza" alla sala Darsena del Lido di Venezia un terzo del pubblico dormiva della grossa, l'altro terzo sbadigliava per non crollare e l'ultimo terzo era convinto di vedere un capolavoro che giustamente era stato premiato con il Leone d'Oro. Alla fine, quando da quest'ultima porzione sono partiti degli applausi, dal fondo della sala una decina di novelli Fantozzi, come nella celeberrima scena della Corazzata Potemkin, si sono alzati in piedi e li hanno subissati di fischi liberatori.
Ora, folklore a parte, ma in un'edizione in cui finalmente la qualità media dei film in gara è stata davvero buona perché dare il massimo riconoscimento a un'opera così dichiaratamente ostile al grande pubblico? D'accordo, ci poteva stare non premiare "Il principe favoloso" di Martone dopo il Leone d'oro dell'anno scorso dato all'italiano "Sacro Gra" (anche se la prova di Elio Germano è a nostro avviso superiore a quella del vincitore Adam Driver, così come quella di Willem Dafoe, mimetico Pasolini), ma c'era un film che alla vigilia aveva messo d'accordo tutti, Birdman di Inarritu, con Michael Keaton, e che è stato totalmente ignorato dai giurati. I quali hanno tutto il diritto di premiare opere difficili, sperimentali (anche se i film girati con la macchina da presa immobile e in ambienti spogli, solo per restare al cinema nordico, li faceva già Dreyer cinquant'anni fa), ma poi non ci si potrà lamentare se Venezia si trasformerà sempre più in una Mostra d'élite, dove le grandi star si tengono alla larga e, di conseguenza, il pubblico.
Più nel merito il film di Andersson è costituito da una sequenza di episodi, alcuni conclusi, altri in cui sono presenti dei personaggi che ritorneranno nei successivi. I primi tre con il loro umorismo nero sono spassosissimi. Ma dopo un po' le vicende dei due venditori di scherzi di carnevale o dei soldati dell'Ottocento che piombano in un bar con cui il regista mira a "creare una tensione tra il banale e l'essenziale, tra il comico e il tragico, per illustrare la natura dialettica e dinamica dell'esistenza dando forma all'idea che l'umanità si stia potenzialmente dirigendo verso l'apocalisse, ma anche che il risultato finale è nelle nostre mani" si avvitano su se stesse e l'ironia glaciale che le pervade non è sufficiente ad allontanare la noia.
Tornando a noi, c'è da registrare che per la prima volta tutti i nostri film in gara, e anche quelli delle sezioni collaterali, hanno ricevuto in genere buoni apprezzamenti, anche dalla stampa straniera. E questo è un ottimo segnale di vitalità per il nostro cinema con la ciliegina sulla torta della seconda Coppa Volpi consecutiva data a un'italiana: dopo Elena Cotta ora è la volta di Alba Rohrwacher, premiata per la sua intensa interpretazione di una madre vegana che mette in pericolo la salute di suo figlio in Hungry Hearts, film del suo compagno Saverio Costanzo. Insieme sono già volati a Toronto per presentarlo pure lì. Insomma, il bilancio complessivo di questa 71ma Mostra è ampiamente positivo, piccioni a parte.