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mercoledì 30 aprile 2025
 
Il bambino di Idomeni
 

Il piccolo di Idomeni. Bimbo nostro che sei nato in un campo profughi

21/03/2016  Sei diventato il simbolo dell’esodo di popoli destinati a diventare schiavi. E la colpa è anche nostra

Bambino nostro, nato nel fango dell’indifferenza che ha innalzato un nuovo muro perché non vuole essere disturbata nel suo benessere. Che non conosce le lacrime e lo strazio di una madre che deve partorire sotto la tenda di un accampamento, dove 13 mila persone affondano nel fango e nella disperazione, in attesa di un verdetto di sopravvivenza che tarda a venire o è loro rifiutato dall’Europa opulenta e distratta. Non esistono culle, ma solo pochi stracci, a Idomeni, in Grecia, dove sei giunto nel ventre di tua madre, fuggita dalla guerra e dalla violenza per farti nascere a un futuro di pace e di speranza. Un uomo ha usato l’acqua di una bottiglietta per lavarti, mentre le mani protettive di tua madre reggevano il tuo corpicino, venuto a gridare al mondo che ogni essere, quando nasce, ha diritto alla vita, a crescere in libertà, giustizia e uguaglianza.
Adesso dicono che sei diventato il simbolo del drammatico esodo di popoli destinati a diventare schiavi di una follia omicida, dove le responsabilità non sono solo quelle della parte più esposta nel suo lugubre fanatismo. Sono anche di tutti noi che non riusciamo a usare le risorse del pianeta in un modo che porti vita e non morte.
Ma tu, bambino di Idomeni, non sei soltanto un simbolo usato per celebrazioni mediatiche, subito dimenticate. Tu sei di carne e di sangue, sei un essere vivo, come lo erano le migliaia di altri bambini che sono finiti in fondo al mare, molti con le loro mamme e i loro fratelli, in quei barconi della speranza che sono diventati la loro tomba senza nome.
Poteva essere al tuo posto un nostro figlio, potevamo essere noi stessi, perché quando si arriva sulla terra, nel giorno sacro della nascita, siamo tutti uguali, anche se i sorteggi del destino ci assegnano a percorsi diversi.
Ed è in questa consapevolezza che ciascuno di noi, che popoli, Governi e istituzioni dovrebbero fare tutto quanto è nelle loro possibilità perché abitare la terra non sia una condanna a morte, ma una possibilità di vivere pienamente e degnamente l’esistenza avuta in sorte.

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