«No, mamma, non partire! Promesso?». Questo hanno risposto i figli a Luisa Carmelita quando ha spiegato che forse, almeno per quest’anno, la madre si sarebbe trasferita in un’altra regione d’Italia. Alla fine la precaria quarantaduenne ha ascoltato i suoi bambini di otto e nove anni e non ha inviato la fatidica domanda al ministero dell’Istruzione. Luisa voleva il famoso “posto sotto casa” e non aveva voglia di faticare? Difficile fare la predica a questa madre separata che da dieci anni, pur di lavorare, gira le scuole della provincia di Cagliari e accetta tutte le supplenze. «Eppure», dice, «tecnicamente avrei anche potuto farcela, lasciando i due bambini a casa dei nonni e traslocando da sola al Nord. Tutto si può fare, ma è una questione di valori: uno fa i figli per accompagnarli nella crescita, non per vederli un solo weekend al mese». Tra l’altro, la Sardegna, circondata dal suo bel mare, rende più difficili e costosi i rientri di chi, spinto dalla disoccupazione, opta per “una vita da trolley”.
Un’alternativa poteva essere trasferirsi con tutta la famiglia. «Quella è stata la scelta di colleghe con figli molto piccoli o mariti che lavorano come liberi professionisti», ribatte Luisa. «Ma io non ho mai realmente considerato questa possibilità». Vari i motivi: «Difficile pagare un affitto e vivere in una città del Nord con uno stipendio di quasi 1.300 euro al mese. Poi c’è la gestione concreta della vita di ogni giorno per una mamma sola e lavoratrice: non potevo chiedere anche ai miei genitori di trasferirsi». Ma soprattutto non voleva sradicare i figli dalla Sardegna: «Devono poter coltivare i loro affetti: i compagni di classe, i nonni e in particolare il papà. Io e lui siamo separati da due anni, ma penso comunque sia una figura fondamentale per i nostri figli, la sua vicinanza è importante».
Niente domanda di trasferimento, niente trolley, niente posto fisso. Come da una decina d’anni, mamma Luisa comincerà l’anno scolastico senza lavoro. «Speriamo», sospira, «che almeno ci siano i soldi del sussidio di disoccupazione: ne avrei diritto da giugno, ma finora non è arrivato nulla. Tempi tecnici, dicono».
A lezioni iniziate, spera di essere chiamata per una supplenza. L’anno scorso le era andata bene: «Due incarichi da settembre a giugno. Insegnavo tutte le materie e ogni giorno alternavo mattina e pomeriggio tra la scuola primaria di Capoterra, il mio paese di residenza, e quella di Sarroch, a venti chilometri di distanza». Quest’anno sa che sarà più complicato: «Difficile che con le nuove assunzioni la supplenza possa essere annuale, saranno più probabilmente dei brevi periodi intervallati da giornate a casa». Non è certo una novità per questa precaria storica, con un’abilitazione per asilo e elementari ottenuta nel lontano 1999. Ma la speranza è l’ultima a morire.