Il Preside Gian Vincenzo Zuccotti
Il decreto Marzo Cura Italia decide di rendere abilitante la laurea in Medicina e Chirurgia immettendo nella professione così diecimila neolaureati. Ne parliamo con Gian Vincenzo Zuccotti, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia della Statale di Milano.
«Diciamo che quello che succede è che chi si sta laureando non dovrà sostenere l'esame di Stato. Ma tutti i ragazzi che verranno abilitati alla professione hanno già svolto il tirocinio abilitante; l'esame di Stato in questo momento di emergenza è un di più. Direi quasi una formalità. Il momento più importante per questi giovani sono i tre mesi in cui laureandi o laureati devono frequentare a rotazione un mese in Medicina interna, Chirurgia e Medicina generale: ovvero il tirocinio valutativo, in cui si valuta quanto hanno acquisito e imparato nei sei anni di medicina. Ecco perché trovo questa scelta opportuna e ringrazio il Ministro perché dà la possibilità di “liberare” i giovani medici e poterli utilizzare».
Cosa possono dare questi ragazzi?
«Non sono specialisti, è chiaro. Possono, però, occuparsi della Medicina di continuità o sostituire i medici in Medicina generale».
Ma quindi non vengono abbuonati gli anni della specialistica?
«Assolutamente no. Per ora sono solo stati abilitati alla professione senza passare per l'esame di Stato come accadeva prima. Ovvero, sei anni di Medicina, tirocinio “post laurea” di tre mesi, esame di Stato. A quel punto il medico poteva avviarsi verso le scuole di specialità o i corsi di Medicina generale. Quelli che si sono laureati a Febbraio che erano in attesa dell'esame di Stato, erano bloccati dall'esame di Stato. Con il decreto vengono immessi immediatamente nel mondo del lavoro. Poi quando usciranno i concorsi per le scuole di specialità o per fare il medico di medicina generale lo faranno. In questo momento è stato solo tolto il “tappo” dell'esame di stato».
Un vero battesimo del fuoco per questi giovani...
«Certamente sì. I ragazzi stessi nelle scorse settimane mi scrivevano lamentando: “Questo esame che non si può fare ci blocca quando noi potremmo essere così utili...”. Avevano addirittura fatto una mozione per sbloccare questa situazione. Questo ribadisce che il medico è una vera vocazione. E per loro oggi è una bella sfida. Dal canto nostro non gli chiediamo di fare i rianimatori o cose da specialisti che non sono, ma di dare una mano e sostituire i medici di Medicina generale che sono in difficoltà o addirittura assenti perché colpiti dall'infezione. Con un'attività di ascolto e accompagnamento, ma anche di una prima valutazione clinica con invio poi nei pronto soccorso. Possono fare un bel lavoro».
Qual è il suo augurio ai nuovi giovani medici?
«Sono molto orgoglioso di loro perché già prima del decreto, da più di 20 giorni erano preoccupati di come poter essere utili e utilizzati. E già questo per me era una grande segnale che va proprio nella direzione giusta: chi fa il medico deve avere questo spirito. Mettersi a disposizione e farlo nei momenti di maggior bisogno. Tanto di cappello, quindi, a queste nuove generazioni che sono davvero molto preparate».
C'è la possibilità che venga ripensato il numero chiuso?
«Ci si lamenta spesso che il numero chiuso limita i medici, anche se il vero imbuto sono le scuole di specialità. Ma limitare l'accesso porta ad avere dei medici che sono enormemente preparati e sono certo che sapranno farsi apprezzare. Limitare i numeri serve a curare la qualità: ripaga e lo apprezzeremo ancora di più. Qualcosa di certo si potrà fare, ma meglio un esercito di cento persone che di mille se quei cento sono dei veri guerrieri»