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martedì 08 ottobre 2024
 
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Rosy Bindi: «Il professore che lavorava per attuare la Costituzione»

12/02/2020  Rosy Bindi, assistente di Vittorio Bachelet e con lui la mattina in cui fu assassinato, ricorda il lavoro da giurista del vicepresidente del Csm e il suo impegno nell'Azione cattolica.

Sua assistente universitaria e con lui impegnata in Azione cattolica, Rosy Bindi era con Vittorio Bachelet la mattina in cui Annalaura Braghetti e Bruno Seghetti uccisero, sulle scale dell’università, il vicepresidente del Csm.

«Sono convinta», dice la politica che poi diventerà ministro della Sanità e presidente della Commissione antimafia, «che sia stato ucciso all’università perché fare il professore era la sua vita. Lui non ha mai lasciato l’insegnamento, l’ha sempre conciliato con la presidenza dell’Azione cattolicaci, con la vicepresidenza del Csm. A quei tempi non era obbligatorio, per le cariche pubbliche, prendere l’aspettativa e lui , da questo punto di vista, riteneva che le due attività si arricchivano reciprocamente. Lo studente non veniva privato, anzi arricchito dall’esperienza istituzionale. Mi ricordava sempre che il suo incarico al Consiglio superiore della magistratura aveva il grande vantaggio di non andare oltre i due mandati consecutivi. Sapeva che a dicembre del 1980 sarebbe finito il suo impegno e che sarebbe tornato a tempo pieno all’università. In quegli anni aveva sospeso la ricerca, ma non aveva mai sospeso le lezioni. Qualche volta lo sostituivo, ma era molto assiduo e ci teneva molto a seguire gli studenti. Sapeva accompagnarli,  soprattutto quelli che ne avevano più bisogno. Penso che sia stato ammazzato all’università sicuramente perché lì si conoscevano bene gli orari ed era facile individuarlo, ma anche perché quello era il luogo della sua professione in senso pieno».

Com’era come giurista?

«Bachelet fa parte di quella generazione che non ha scritto la Costituzione, ma che si è messa al servizio della sua attuazione. È uno studioso che applica, in maniera rigorosa, il metodo giuridico ai problemi del Paese, non uno studioso astratto rispetto alla realtà viva che l’Italia attraversa. L’Italia, in quegli anni, è organizzata secondo un ordinamento che preesiste alla Costituzione italiana. E questa, una volta scritta, non si iscrive automaticamente nella vita del Paese.  I suoi studi hanno questa preoccupazione: come imprimere i principi della Carta costituzionale nell’ordinamento giuridico italiano, in particolare nella Pubblica amministrazione perché essa svolga davvero la funzione che la Costituzione le affida: di essere a servizio della comunità per assicurare e garantire i diritti dei cittadini, non uno strumento di potere».

Quali sono le sue prime pubblicazioni?

«La sua prima monografia è sull’ordinamento militare perché quella era l’organizzazione forse più distante, per come era organizzato, dai principi della Costituzione e rischiava quasi di essere un ordinamento separato dentro lo Stato. La sua preoccupazione è come costituzionalizzare l’ordinamento militare del Paese,come renderlo coerente con l’articolo 11 che dice che la Repubblica italiana ripudia la legge».

E poi?

«Affronta gli altri aspetti importanti di uno Stato moderno che, per realizzare pienamente la Costituzione nei suoi principi economici, deve intervenire direttamente nell’economia stessa. Fino agli anni Settanta  c’era un intervento pubblico nell’economia molto consistente. Bisogna ricordare che l’Italia diventa una potenza industriale prevalentemente attraverso l’intervento pubblico. Ma questo era un diritto tutto da inventare. L’amministrazione dello Stato che interviene nell’economia, secondo Bachelet, non può ispirarsi ai principi di un ordinamento amministrativo che rilascia certificati, ma deve rispondere ad altri criteri. C’è una modernità nel suo studio: assoluto rigore giuridico, ma grande preoccupazione per illuminare i problemi del Paese e risolverli  attraverso uno Stato che si organizza secondo la Costituzione».

E negli anni al Csm?

«La sua preparazione, anche se apparentemente in un altro ambito, è stata importante per assicurare l’equilibrio trai poteri : giudiziario, legislativo ed esecutivo. Un equilibrio particolarmente delicato perché la magistratura era sotto attacco del terrorismo».

Avete condiviso anche l’impegno in Azione cattolica. Lui fu il presidente della scelta religiosa. Come la intendeva?

«Non voleva certo l’Azione cattolica fuori dall’impegno civile e politico. Anzi la sua frase costante era : “Il nostro compito non è solo quello di formare buoni soci dell’associazione, ma di formare buoni cristiani e buoni cittadini”. Per lui la scelta religiosa rappresentava il primato della Parola e dell’Eucaristia. La sua presidenza è quella dell’Aci che spezza il pane del Concilio  nelle parrocchie, nel popolo di Dio. Lui ripeteva che “quando l’aratro della storia scava a fondo è il tempo di gettare il seme buono” e il seme buono sono la Parola e l’Eucarestia. Anziché correre dietro a questo o quel problema la Chiesa, e l’Azione cattolica che si caratterizza per essere la più vicina al cuore della Chiesa, deve fare questo lavoro qua. Poi dopo certo, come con San Benedetto si lavora per far nascere una nova civiltà, ma questa nasce dal fatto che vengono prima la Parola e la liturgia. Lui è stato il presidente di quell’associazione lì. Resto convinta che, se non ci fosse stata l’Aci di Bachelet, il laicato cattolico  non avrebbe visto il Concilio neanche da lontano».

 
 
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