“Questo è il tempo del coraggio, che non esclude nessuno e non lascia alibi a nessuno”. Bella frase, che riecheggia il Churchill - o almeno l'Obama - dei momenti cruciali. L'adopera Matteo Renzi, "sindaco d'Italia", per fortuna in un contesto meno tragico di una guerra mondiale, in un'aula in cui non avrebbe nemmeno diritto a entrare come senatore, avendo meno di 40 anni, come ricorda lui stesso, immaginifico e compiaciuto. “Noi chiediamo fiducia - ha detto - perché pensiamo che l’Italia ha una necessità urgente di uscire dalla crisi”. Per farlo, aggiunge il premier 39enne, dovrà rimboccarsi da subito le maniche e approvare provvedimenti economici e riforme.
“Arrivare al 2018 - sottolinea Renzi - ha un senso solo se avvertiamo l’urgenza di un cambiamento radicale”. Renzi ha indicato il semestre europeo di presidenza italiana, a partire da luglio, come la meta da raggiungere avendo già i compiti svolti, ovvero le riforme. Quel semestre che il suo predecessore Letta considerava un approdo sicuro per la tenuta della sua compagine governativa, travolta invece dal "treno" del segretario del Pd. “Il semestre europeo non deve essere solo un’occasione per fare nomine - ha puntualizzato -. A volte si considera l’Europa come la madre dei nostri problemi. Per me e per il mio partito non è così. Nella tradizione europeista sta la parte migliore della nostra società”. Dunque Renzi ha detto qualcosa di europeista. Non è molto: ma di questi tempi è già tanto, di fronte a buona parte del Parlamento (Lega, Forza Italia, Cinque Stelle) scettica o apertamente anti-europea.
Se è vero che quello di Renzi è un discorso autenticamente politico, carismatico, che tocca le corde più profonde chiedendo "sogni e coraggio", va detto che si tiene sul vago, attenendosi ai "titoli di apertura", come dice il presidente delle Acli Bottalico, senza entrare cioè nel merito di quelle riforme che - ha promesso - avranno una cadenza mensile. Forse un tecnico sarebbe stato più monocorde ma meno generico. Il premier più giovane della Repubblica comincia dalla scuola (“da lì riparte un Paese, da lì nasce la sua credibilità”), annunciando l’intenzione di andare da presidente del Consiglio, come faceva da sindaco, in visita ad una scuola ogni settimana a partire già da mercoledì. Gli impegni immediati su cui Renzi ha voluto spendersi, sono tre: lo sblocco totale dei debiti della pubblica amministrazione con l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti; la costituzione di un fondo di garanzia per le piccole e medie imprese che non riescono ad accedere al credito e la "riduzione a doppia cifra del cuneo fiscale" (ovvero il costo del lavoro per le imprese, nda) che dia risultati "già in questi primi mesi del 2014", fortissimamente richiesto da Confindustria e dai sindacati.
Renzi ha poi aggiunto al pacchetto per i primi cinque mesi di governo anche la riforma complessiva del sistema della giustizia, a partire da quella civile, con le sue incognite e i suoi tempi lunghi. Ma senza tralasciare quella penale, perché “esiste una preoccupazione costante nell’opinione pubblica sul fatto che corra sempre il rischio di arrivare tardi e di colpire sempre gli stessi”. Discorso vibrante, fatto di molte promesse, persino di ideali, ma che, come detto, rimanda alla prova dei fatti. Il realismo non manca in Renzi quando affronta la situazione complessiva del Paese. Quando parla delle cifee della disoccupazione le dipinge come le cifre di un tracollo. E non dimentica un’assunzione di responsabilità in caso di fallimento. Un’assunzione molto coraggiosa, cui non eravamo abituati da tempo e che gli fa onore visto il livello di certa politica.