Ci sono alcuni cristiani che, pur professandosi tali, negano la Risurrezione di Cristo perché sarebbe un mito. Come possiamo rispondere? - ANTONIO MARCONCIN
La tomba vuota e le apparizioni di Gesù sono uno spartiacque per la nostra fede, perché ci chiedono di affidarci a Dio nel momento più tremendo: la morte. L’esperienza personale di Gesù non si conclude con la morte o col sepolcro vuoto, ma continua nelle apparizioni e nell’Ascensione al cielo, e perdura in una forma nuova, nell’attesa del suo ritorno glorioso, attraverso lo Spirito. I discepoli hanno ascoltato, veduto e toccato il Verbo della vita (cfr. 1Giovanni 1,1-4) anche da risorto. Tale esperienza, trasmessa attraverso la Chiesa, è in continuità con quella che essi hanno avuto prima della Passione e morte. Il Gesù che si mostra vivo, in carne e ossa, che parla e mangia è lo stesso. Mostra così di non essere un fantasma. Ma la sua umanità ha anche elementi nuovi, che vanno oltre l’ordinario, preannunciando una presenza non più legata allo spazio e al tempo. Gesù «sta» in mezzo ai discepoli, senza che questi lo riconoscano e poi «scompare dalla loro vista», lasciando loro il pane consacrato a colmare le esigenze dei cinque sensi. Il linguaggio mitico aiuta a esprimere questa “vita ulteriore” già anticipata in Gesù, a cui Dio vuole che partecipiamo con la risurrezione. Cosa che non si potrebbe trasmettere a pieno con un linguaggio solamente fattuale o concettuale.