Squadra di corsa campestre del 1956, Airoldi è il primo a destra accovacciato
Michele Airoldi oggi è nonno e grande appassionato di collezionismo: oggetti che hanno a che fare in particolare con in mondo della birra(poster, sottobicchieri, boccali, locandine...). Ha 81 anni e quand'era ragazzo ha trascorso sette anni in collegio: non un collegio qualunque ma il Collegio Convitto Celana, quello in cui è stato girato il popolare reality “Il collegio", che nella realtà è rimasto attivo come scuola fino a pochi anni fa. Di quel tempo lontano ha conservato ricordi e fotografie che ha accettato di condividere con noi, stando al gioco di confrontare reality e realtà.
Ragionier Airoldi, che anni erano?
«Sono entrato alla scuola media e sono rimasto in Collegio fino al diploma di ragioneria nel 1957».
Sappiamo che per curiosità ha dato una sbirciata al reality Il Collegio, quanto è lontano dalla realtà che ha vissuto?
«Moltissimo. Ho visto anche qualcosa della prima edizione sugli anni Sessanta, la più vicina ai miei tempi, ma era tutto davvero troppo diverso. È chiaro che l’ispirazione del programma non viene dalla realtà dei collegi veri di quegli anni. Devo dire che è tutto così differente che è persino difficile per me riconoscere gli ambienti in cui sono vissuto per sette anni, evidentemente gli interni sono stati ricostruiti come un set».
In compenso però il programma piace molto ai ragazzi di oggi, che si immedesimano nei ragazzi che vedono in Tv…
«Forse sì, chissà. Sarà il fatto che sono ragazzi di oggi, così diversi da quelli dei miei tempi: noi mai avremmo osato rispondere come si vede nel programma a un professore. Sarebbe stato fuori dal mondo, per quei tempi. È vero che il programma di quest’anno è ambientato negli anni Ottanta, ma ho una figlia che andava a scuola in quegli anni anche se alle pubbliche e per quel che ricordo anche allora c’era molto più rispetto per l’autorità degli adulti in generale e dei docenti. Non so se oggi a scuola funzioni come si vede nel programma con i ragazzi che a scuola dicono tutto quello che passa loro per la mente. Sarò all’antica, ma spero di no. Non mi sembra educativo».
La classe di Airoldi
Eppure è lei il primo ad ammettere che ai tempi del collegio eravate discoli per la vostra parte…
«È vero sì, ne combinavamo anche noi, scherzi per lo più che divertivano molto noi e meno il malcapitato bersaglio, ma non avremmo neppure potuto immaginare di rispondere agli adulti e ai professori con l'impertinenza che si vede in Tv. ll nostro collegio era retto da sacerdoti ma gli insegnanti erano laici e venivano da città vicine. Uno dei nostri bersagli era la professoressa di matematica, approfittavamo del suo terrore per i topi. Una volta avevamo visto un topolino intrufolarsi da un buco alla base del muro della classe, e allora prima che arrivasse la professoressa mettevamo un’esca davanti al buco. Se appariva il topolino, uno di noi urlava: “un topo, un topo” e la lezione di matematica finiva».
Com’era la vita al Collegio Celana?
«Dormivamo in camerate da 20-30 ragazzi, condividendo tre bagni, sei lavandini e un paio di docce. Durante il sonno e le ore di studio eravamo affidati a uno studente universitario, che in cambio di vitto e alloggio dormiva nella nostra stanza e ci sorvegliava durante lo studio, lo si chiamava prefetto. Una volta sono stato mandato anch’io a sorvegliare una classe elementare in sostituzione del prefetto per circa un mese. Fui scelto perché nella mia classe ero considerato un disturbatore. Nei miei anni il Collegio era solo maschile ed eravamo tutti interni, tranne uno che abitava poco lontano, ma era l’unico, perché il Celana era abbastanza isolato, tanto che quando la domenica venivano i genitori potevamo stare solo nell’unico bar tristanzuolo che c’era nelle vicinanze. (Le ragazze sono state ammesse in anni successivi, ma erano tutte esterne e avevano accesso solo alle aule scolastiche, le camerate a differenza che nel reality erano prevedibilmente off-limits ndr)».
Ogni quanto si usciva?
«Soltanto a Natale, a Pasqua e per le vacanze estive. La domenica venivano a trovarci i genitori e confesso che la cosa su cui contavamo di più era che coloro che stavano economicamente meglio ricevessero da casa e condividessero cose buone da mangiare. Il cibo, riguardo al collegio, è l’unica cosa sulla quale avrei da ridire: considerato che eravamo ragazzi in età di sviluppo darei alla refezione un voto da 6-. Qualche volta abbiamo anche buscato dei mal di pancia. Una volta che capitò due volte di seguito, quando eravamo già alle superiori, decidemmo di anticipare all’insaputa di tutti le vacanze natalizie di due giorni, prenotammo due pullman che ci portassero alla stazione, se ne accorsero che eravamo già via. La nostra iniziativa non fu apprezzata né dal Collegio né dalle famiglie».
Capitava di finire in punizione?
«In realtà le punizioni erano previste solo per i piccoli, di elementari e medie, e solo nelle ore di studio. Niente di severo: consistevano nell’essere cacciati per 15 minuti dalla classe. I più grandi, invece, ricevevano note di biasimo sulla pagella e, se ci si comportava male, venivano informati i genitori che in questi casi di solito erano più solidali con gli educatori che con noi».
Airoldi vittorioso alla corsa campestre.
Ci racconta una giornata tipo in Collegio?
«Ore 7: sveglia. Ore 7,30 messa. Ore 8 colazione con caffellatte e pane. Ore 8,30 ricreazione. Ore 9 in classe fino alle 13. Ore 13 pranzo: primo, secondo e un frutto. Ore 14 ricreazione fino alle 15,30. Ore 15,30 in aula a studiare fino alle 18,30. Ore 18,30 in chiesa per il rosario. Ore 19 cena: primo, secondo, un frutto. Ore 20 in aula per lo studio. Ore 21,30 tutti a nanna».
Bullismo ce n'era?
«Lo ammetto, c’era anche allora, i bersagli preferiti erano quelli che non praticavano attività sportiva».
Lo sport aveva spazio?
«Sì, le attività sportive erano uno sfogo importante in un collegio di soli maschi ed erano gestite don Maggioni, il più simpatico per noi. Si giocava a pallavolo, a pallacanestro, a calcio teatro di grandi disfide geometri/ragionieri contro liceali, con questi ultimi quasi sempre sconfitti. Io facevo parte della squadra di corsa campestre e siccome ero quello che correva più forte avevo ottenuto il privilegio di poter uscire tre volte la settimana ad allenarmi mentre gli altri finivano le ore di studio pomeridiane, godendomi le zollette di zucchero che mi passava don Maggioni».
Ci racconta lo scherzo più feroce che avete organizzato?
«Era complesso e necessitò di una regia. Andando in mensa si passava davanti alla cucina dove si intravedevano cuochi e cameriere. Un compagno vide una ragazza giovane e confessò a un amico che gli sembrava di conoscerla. Il giorno dopo in mezzo al tovagliolo trovò un messaggio della ragazza che diceva di volerlo incontrare. Gli suggerimmo di rispondere fissando l’appuntamento vicino al porcile (il Collegio disponeva di un grande allevamento di maiali che venivano alimentati con i resti dei pranzi e delle cene). Il malcapitato non fiutò lo scherzo manda un messaggio di risposta alla ragazza, sempre tramite tovagliolo, che ovviamente finì nelle nostre mani, e si presento all’appuntamento. Il vicedirettore, avvisato da noi, stette allo scherzo. Quando vide l’innamorato in attesa dell’incontro, si affacciò ad una finestra e gli gridò: «Cosa fai lì fuori, vieni subito da me». Noi nel frattempo ci eravamo tutti raccolti nel cortile ad aspettarlo pronti ai lazzi. E non finì lì perché il vicedirettore lo costrinse a salire su una sedia a leggere a voce alta tutti i messaggi».