Il reato di clandestinità? Inutile, inefficace, stigmatizzante, sanzionato dall’Europa, dettato solo da motivi ideologici, costoso per l’amministrazione pubblica e causa del rallentamento dei processi. Lo dice l’Asgi, l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione.
Proprio in questi giorni, la tragedia di Lampedusa ha riacceso il dibattito sul reato di ingresso e soggiorno illegale, cioè l’articolo 10-bis inserito nel 2009 nel “Pacchetto sicurezza” del Governo Berlusconi.
Basterebbe un fatto per riflettere sulla sensatezza del provvedimento: mentre era ancora in corso il recupero delle salme, ancora in fondo al mare, e le immagini mostravano le centinaia di bare allineate delle vittime, i sopravvissuti venivano senza indugio iscritti nel registro degli indagati. Alcune associazioni hanno criticato la procedura perché appariva evidente che i naufraghi avevano i requisiti per presentare domanda di asilo alle autorità italiane. Un atto dovuto, hanno risposto dalla Procura di Agrigento, sino a che il reato non verrà eliminato dal nostro ordinamento.
Lo sconcerto per tanta solerzia ha riproposto alla ribalta un reato che vivacchiava da anni nelle sale di udienza dei giudici di pace, perché è a loro che la legge attribuisce la competenza.
Secondo l’Asgi, occorre prima di tutto chiarire due punti su cui alle volte si fa confusione: «Nessun condannato per il reato di clandestinità può finire in carcere, a meno che non debba rispondere anche di altri reati differenti, per la semplice ragione che tale contravvenzione è punita con un’ammenda da 5.000 a 10.000 euro e non con pene detentive». Secondo, «non esiste più neppure il reato di inosservanza all’ordine di allontanamento dal territorio dello Stato impartito dal Questore allo straniero espulso o respinto».
Questo reato, che è stato spesso confuso con quello di clandestinità, era stato introdotto dalla legge Bossi-Fini del 2002, cioè sette anni prima del “Pacchetto sicurezza”, e prevedeva l’arresto obbligatorio e la reclusione. Riempiva le carceri già sovraffollate, ma non si applica più dal 28 aprile 2011, data in cui la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato che viola la direttiva Ue del 2008 sui rimpatri degli stranieri in situazione irregolare.
Analizziamo l’efficacia del reato di clandestinità. La multa tra i 5.000 e i 10.000 euro? «Nessuno straniero condannato per questo reato», spiega l’Asgi, «ha mai pagato nemmeno un centesimo: chi soggiorna illegalmente non può essere titolare di un conto corrente, non può lavorare in regola (quindi non ha una busta paga), non può acquistare un immobile… In sostanza, non ha beni patrimoniali alla luce del sole aggredibili dall’Agenzia delle entrate».
In compenso, però, lo Stato spende per la celebrazione di questi processi: «Si tratta di costi che non recupererà mai. Quindi non solo l’amministrazione pubblica non guadagna nulla, ma spende pure ingenti risorse economiche e umane». Oltre a intasare gli uffici dei giudici di pace con un aggravio burocratico, al punto che lo stesso Ministero della giustizia ne ha proposto l’abrogazione nel maggio 2013. «È inoltre del tutto inesistente», aggiunge l’Associazione, «l’efficacia deterrente dell’illecito che certo non induce nessuno straniero a osservare la legge».
È bene ricordare il clima culturale in cui fu varato il “Pacchetto sicurezza”, con cui si era cercato anche di introdurre l'obbligo di segnalazione degli stranieri che accedevano al pronto soccorso, proposta poi abbandonata anche a seguito della forte opposizione degli ordini dei medici.
Ma “l’atto dovuto” della Procura di Agrigento di fronte ai naufraghi di Lampedusa è la conseguenza di quella stagione.
A cosa serve allora il reato di clandestinità? Ecco che ne pensa l’Asgi: «È un reato inutile e dannoso, previsto da una cosiddetta “legge manifesto”, che, al pari delle grida manzoniane, vuole affermare astrattamente che la clandestinità è reato, perché così si dà l’illusione che lo Stato è forte (con i deboli), anche se non serve a nulla e incide sulla spesa pubblica senza alcun ritorno. L’importante è dare all’elettorato il “tranquillante messaggio” dello stigma del “clandestino”, della costruzione normativa del “nemico” e della devianza. L’identificazione “clandestino uguale delinquente” è così compiuta nell’immaginario collettivo. Quel che importa è il messaggio che si veicola. Ma questo è un messaggio razzista. Questo è il vero significato del reato di clandestinità».
In conclusione, «non vi sono ragioni per mantenerlo in vita, e chi afferma il contrario o non è informato o ha interesse al mantenimento dello stigma del clandestino-delinquente per fini propagandistici. Oppure vuole mascherare con un reato inutile l’incapacità e la non volontà del legislatore di disciplinare in modo efficace e realistico canali di ingresso regolare dell’immigrazione, un fenomeno strutturale, destinato a crescere, e che perciò non potrà mai essere impedito irrazionalmente con norme penali».