La Corte di Cassazione ha
convalidato le 500 mila firma raccolte dai “Comitati per il sì” al
referendum sulla riforma della Costituzione. Il quesito del referendum è stato
approvato e ora il governo ha 60 giorni per decidere la data in cui si andrà a
votare. Diversi esponenti dell’opposizione hanno
chiesto al governo di fissare la data rapidamente e nei primi giorni in cui
è consentito farlo. Secondo indiscrezioni, il governo invece non
avrebbe fretta e starebbe pensando di fissare la data del voto nella
seconda metà di novembre (si parla del 13, del 20 o del 27).
Su che cosa si voterà?
Gli elettori italiani saranno chiamati a votare sulla riforma della
Costituzione, il cosiddetto “ddl Boschi”, dal nome della ministra per le
Riforme costituzionali. Il ddl, definitivamente
approvato lo scorso aprile, prevede la fine del bicameralismo perfetto
tramite una significativa riforma delle funzioni del Senato, la riduzione dell’autonomia
delle regioni e una serie di interventi minori, come l’abolizione del CNEL (Consiglio nazionale economia lavoro).
Il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, e il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, in Parlamento
Quali sono i punti salienti della riforma?
L’Italia cesserà di essere un paese dove vige il “bicameralismo perfetto”, cioè la parità di ruolo e competenze tra le due camere, saranno modificati i rapporti tra stato e regioni e saranno introdotte tutta un’altra serie di modifiche come quelle sull’elezione del presidente della Repubblica e sull’istituto del referendum. Il Senato non dovrà più dare la fiducia al governo e non si occuperà più di gran parte delle leggi, che saranno di competenza esclusiva della Camera. Sulla maggior parte delle leggi sarà soltanto la Camera a dover decidere, eliminando così la cosiddetta “navetta”, cioè il passaggio della stessa legge tra Camera e Senato che oggi capita avvenga anche più di una volta, visto che le due camere devono approvare leggi che abbiano esattamente lo stesso testo.
Come saranno scelti i nuovi senatori?
Il nuovo senato avrà 100 membri, di cui 74 saranno consiglieri regionali, 21
saranno sindaci e 5 saranno nominati dal presidente della Repubblica (gli
ultimi avranno un mandato della durata di 7 anni). Il metodo con cui saranno
eletti i 74 consiglieri regionali e i 21 sindaci non è ancora stato
deciso: servirà una legge che determini esattamente come avverrà la loro
elezione. Su questo punto ci sono stati aspri scontri politici, anche per la
formulazione vaga della riforma: dice che i senatori saranno eletti «in
conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in
occasione del rinnovo dei medesimi organi». In altre parole la legge ordinaria
potrebbe stabilire che in occasione delle elezioni regionali sarà necessario
indicare sulla scheda la propria preferenza per il consigliere regionale che
l’assemblea dovrà eleggere come suo rappresentante al Senato. Altre polemiche
su questo punto sono dovute al fatto che la riforma continua a prevedere
l’immunità parlamentare per i senatori (quindi, dicono i critici, i consigli
regionali invieranno al Senato i loro “colleghi” che rischiano di essere
processati: ma questo non succederà se saranno gli elettori a scegliere chi
mandare in Senato).
È vero come sostiene il governo che la riforma produrrà notevoli risparmi economici?
Con la riforma si aboliranno definitivamente le province (che spariranno dal
testo della Costituzione), si abolirà il CNEL e
i senatori saranno ridotti di numero (passeranno da 320 a 100) e non
percepiranno uno stipendio. Non sono state fornite stime esatte sull’ammontare
di questi risparmi, ma si calcola che possano essere nell’ordine di poche
centinaia di milioni di euro, su un bilancio pubblico di circa 800 miliardi di
euro.
L'aula del Senato durante una seduta
Quali forze politiche hanno votato la riforma in Parlamento?
Inizialmente la riforma è stata votata da un’ampia maggioranza di
parlamentari, tra cui il Pd e gran parte del centrodestra. Successivamente
Forza Italia ha ritirato il suo appoggio e la riforma è stata approvata con una
maggioranza assoluta. Se fosse stata approvata con una maggioranza di due
terzi, la riforma sarebbe automaticamente entrata in vigore, senza bisogno del referendum.
Convalidando le 500 mila firme la Cassazione ha autorizzato il referendum: ma
il referendum si sarebbe svolto comunque visto che ne hanno fatto
richiesta, come prevede la
legge, anche un quinto dei parlamentari.
Come si stabilisce la data?
Il referendum deve tenersi una domenica tra il 50° e il 70° giorno dopo la
data in cui viene pubblicato il decreto che lo indice. Se il decreto venisse
promulgato il 9 agosto, ad esempio, sarebbe possibile votare 50 giorni dopo,
cioè nei primi giorni di ottobre. Ci sono diverse ragioni di tattica
politica, però, che sconsigliano al governo questa scelta. Più la data del
referendum è vicina e più corta sarà la campagna elettorale. I sondaggi, al
momento, indicano una parità tra i “sì” e i “no” e in alcuni casi un leggero
vantaggio dei no. Spostando la data del referendum alla fine di novembre,
il governo spera di avere più tempo per mettere in atto un’efficace campagna
elettorale. Nei mesi scorsi la data più probabile per il referendum era
indicata intorno all’inizio di ottobre (nella stampa la consultazione era
spesso definita “referendum di ottobre”), ma ora si parla della fine di
novembre. Inoltre, intorno alla metà di novembre il governo spera di riuscire
ad approvare la nuova legge di stabilità in almeno uno dei due rami del
parlamento.
Cosa c’entra la legge elettorale in questa vicenda?
Il 4 ottobre la Corte Costituzionale si esprimerà sull’Italicum, la nuova legge elettorale approvata lo scorso 4 maggio. Secondo molti commentatori è probabile che la Corte accoglierà almeno alcune delle “eccezioni di incostituzionalità” rivolte alla legge, rendendo forse necessario un nuovo passaggio parlamentare. L’Italicum prevede un ballottaggio tra liste su scala nazionale, una caratteristica pressoché unica al mondo e un significativo premio di maggioranza alla Camera che viene assegnato al secondo turno delle elezioni. In questo modo la legge potrebbe finire con l’assegnare il premio a una forza politica con una bassissima rappresentanza nel paese, che controllando la Camera potrebbe legiferare in completa autonomia. Il Movimento 5 Stelle, in passato tra i più forti critici dell’Italicum, ora chiede che la legge non venga cambiata; una parte significativa del Pd, che aveva promosso la legge, vede favorevolmente una sua modifica.