“Per
noi, popolo Nuba, le priorità sono tre: la prima l’educazione, la
seconda l’educazione, la terza l’educazione”. Così amava dire
Yousif Kuwa Mekki, storico leader nuba morto nel 2001 dopo aver
guidato il suo popolo nella lunga guerra fra Nord e Sud Sudan.
Kuwa
era un insegnante, un maestro prima di essere un comandante militare,
e le priorità del suo popolo le aveva chiare: libertà, autonomia
culturale e sviluppo. E aveva anche molto chiaro che per ottenere
questo era indispensabile superare l’arabizzazione forzata da
Khartoum. Non è tanto una questione religiosa, molti Nuba sono
musulmani, ma una questione di libertà: la libertà di essere
musulmani per scelta e non per imposizione.
Questo
significa anche libertà di non essere musulmani. Infatti in Sud
Kordofan ci sono anche cristiani così come nel Nord Kordofan, in
Darfur e nell’enorme Diocesi di El Obeid, la più estesa al mondo.
Così Yousif Kuwa decise che
l’arma più efficace per combattere questa guerra di liberazione
era l’educazione. Siccome era prima maestro che militare, scelse di
aprire scuole di lingua inglese, aperte alla conoscenza del mondo
oltre il solo Corano.
Lui
non ebbe l’opportunità di vedere siglati gli accordi di pace del
2005, la loro attuazione con la proclamazione della nascita del Sud
Sudan il 9 luglio 2011 e la ripresa della guerra all’interno del
Sudan stesso nell’area di confine fra i due nuovi Stati, in Darfur,
in Blue Nile e sui suoi monti Nuba del Sud Kordofan.
Lo scenario attuale in questa
vasta area non sembra essere molto mutato da quello degli oltre
vent’anni di guerra, quelli della seconda guerra civile sudanese
(1983-2005). Il periodo più tranquillo è stato quello che ha
preceduto il luglio 2011.
Viaggiando per le campagne dei
monti Nuba, a marzo 2011, si trovava una vita di villaggio serena,
una agricoltura in grado di sostenere la popolazione. Le scuole,
quelle di Kuwa, regolarmente funzionanti e piene di studenti.
Ma si stava preparando l’inizio
di quella che sarebbe diventata la terza guerra sudanese, iniziata
nel 2011 e senza luce a fine del tunnel. Le prime avvisaglie prima
ancora del 9 luglio, poi il crescere degli scontri, la ripresa dei
bombardamenti aerei da parte dell’esercito di Khartoum che si
protraggono fino ad oggi.
Sono oltre 75mila i profughi
scappati dal Sud Kordofan e accampati a Yida, appena all’interno
del territorio del nuovo Sud Sudan. Molti altri scappano altrove. Dal
Blue Nile in Etiopia e dal Darfur continuano a popolare i campi
profughi del Ciad. Quelli che hanno deciso di non abbandonare le
proprie terre ormai vivono stabilmente in grotte e rifugi scavati
nella terra per tentare di salvarsi dagli effetti dei bombardamenti.
La cronaca della guerra sembra
ripetersi, come i numeri dei morti in graduale aumento. I fronti di
combattimento delle tre aree si sono riuniti sotto un’unica sigla
Sfr (Sudan Revolutionary Front) sotto la presidenza di Malik Agar e
il coordinamento e comando unificato di Abdel Aziz Adam al-Hilu,
leader del popolo Nuba ed erede del maestro Yousif Kuwa.
Lo
scenario però sembra mutare, l’Sfr ha cambiato negli ultimi mesi
strategia. Sotto il comando unificato di Abdel Aziz hanno deciso di
avanzare verso Khartoum e la presa temporanea di Umm Ruwaba,
strategica località in North Kordofan sulla strada verso la
capitale, ha messo sotto pressione Omar al-Bashir. La reazione
militare continua ad essere quella di bombardare dal cielo, con gli
Antonov riadattati ad aerei militari. Ma il governo sudanese sta
preparando anche la difesa della capitale in risposta alle
dichiarazioni dell’opposizione che ha l’obiettivo di rovesciare
il regime, con ogni mezzo.
I combattimenti sono ancora aspri
per il controllo di Kadugli, capoluogo del South Kordofan. Ma l’area
che in queste settimane sta maggiormente subendo la guerra è il Blue
Nile. E' urgente che siano ripresi i colloqui sulla situazione
umanitaria, considerata molto grave dallo stesso Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite.