I registri comunali di Riace
raccontano che, in un
passato non troppo lontano,
i mestieri più diffusi tra
la popolazione erano l’agricoltura,
l’allevamento di bestiame,
la filatura e la tessitura.
I registri comunali di
oggi raccontano che il mestiere
più diffuso è l’assistenza
statale, in forma di
pensione per i più anziani e
di lavori socialmente utili
per i giovani disoccupati.
La storia di Riace (nel cui
mare, nel
1972, furono
trovati i famosi bronzi,
ora conservati nel Museo
nazionale di Reggio Calabria)
è la storia di tanti paesi
del Sud. Nel 1963 il borgo
contava 3.800 abitanti, oggi
solo 600. Il 60 per cento delle
case del centro storico, a
sette chilometri dal mare, è
disabitato: la gente non trovava
lavoro e se ne è andata,
chi nel Nord Italia, chi all’estero.
Un microcosmo
(fatto di tradizioni, antichi
mestieri, tempi rallentati,
asini carichi di ceste e vecchiette
vestite di nero che
passeggiano tra i vicoli ripidi
e le case scolpite nella pietra)
in via di estinzione.
A Riace, però, un gruppo
di giovani si è ribellato a
questo destino. «La svolta
coincise con un’esperienza
per noi decisiva», racconta
Domenico Lucano, 41 anni.
«Nel luglio del 1998 a Riace
Marina sbarcarono 200 curdi.
Molti di loro furono
nostri ospiti
per un anno. Ci
parlarono della
storia del loro
popolo, del dolore
di chi deve dire addio alla
propria terra, del sogno di
poterci tornare. Le loro parole
hanno risvegliato in noi
l’amore per la nostra terra,
ci hanno convinto che non
era giusto lasciare che Riace
morisse e a fare qualcosa
di concreto per salvarlo».
Nell’ottobre di quell’anno
nacque l’Associazione città
futura (telefono 0964/
77.80.08), che venne
intitolata a don Pino
Puglisi, il sacerdote
di Palermo assassinato
dalla mafia. «È un
uomo che si è messo in gioco
senza riserve per migliorare
la società, è un riferimento
che ci dà forza», spiega
Antonio Petrolo, 34 anni,
un altro dei “ragazzi di
Riace”.
Uno dei primi atti dell’Associazione
fu quello di candidarsi
alle elezioni amministrative
nel ’99: «Il programma
della nostra lista civica
era semplice: recupero
del centro storico, valorizzazione
delle tradizioni e degli
antichi mestieri, fine dell’abusivismo
edilizio lungo
la costa, creazione di un piccolo
museo nel luogo di ritrovamento
dei bronzi», dice
Antonio Trifoli, 31 anni,
oggi consigliere del Comune
di Riace. «Senza fare
campagna elettorale, raccogliemmo
il 30 per cento dei
voti». Un successo, che però
non bastava a soddisfare
la voglia di fare di questi giovani,
e soprattutto non dava
garanzie di avere mezzi sufficienti
per realizzare i loro
sogni. Fu così che, con o
senza l’aiuto del Comune,
decisero di andare avanti.
La prima idea fu quella di
affittare e ristrutturare le
abitazioni del centro storico,
abbandonate da compaesani
emigrati per cercare
lavoro anche 30 o 40 anni
prima. Ma i sogni hanno bisogno
di gambe su cui camminare:
dove trovare i soldi
necessari?
«Pensammo alla Banca
etica», racconta Domenico,
«e fu un’intuizione giusta,
perché l’intesa fu immediata.
Ci prestarono 70
milioni, grazie ai quali abbiamo
reso abitabili queste
case, rifacendo gli impianti
elettrici, procurando nuovo
arredamento, imbiancando
le pareti. E per contenere
i costi, molti lavori li
abbiamo fatti con le nostre
mani».
E così, ecco pronte 11 case-
albergo: Palazzo Pinnarò,
sede dell’Associazione
città futura, ma anche luogo
di accoglienza per scambi
culturali, Casa Santa Caterina,
Casa Donna Rosa,
Casa Torretta, Casa Kurdistan
(ospitò alcuni curdi
nel ’99), Casa Athena, Casa
Elena, Casa Virginia, Case
Quartiere Sant’Anna, Casa
Due Giare, Casa Mendenitza.
Un totale di 55 posti letto,
immersi nell’atmosfera
medievale del borgo.
Riace, però, non offre solo
uno splendido mare, un
clima mite tutto l’anno e la
pace delle sue dolci colline.
«Abbiamo voluto che la rivitalizzazione
del centro
storico fosse accompagnata
dal recupero dei mestieri
antichi e delle tradizioni
», dice Domenico. «Giancarlo
Bregantini, vescovo
della diocesi di Locri, ci ha
prestato 30 milioni, con i
quali abbiamo affittato un
vecchio mulino che abbiamo
trasformato in un laboratorio
di tessitura. Con un
duplice obiettivo: creare
posti di lavoro e offrire ai
turisti la possibilità di calarsi
nei mestieri del passato.
Un falegname ha fabbricato
gli antichi telai, mentre
noi ci siamo fatti raccontare
dalle anziane i segreti
della tessitura».
Il laboratorio oggi produce
tappeti, coperte, copriletti,
cuscini. E c’è la speranza
che i negozi del commercio
equo e solidale mettano in
vendita tali prodotti. Dal 18
al 29 giugno, inoltre, i turisti
ospiti a Riace potranno
partecipare alla Festa della
ginestra, un campo di lavoro
(intervallato da feste ed
escursioni) per chi ama le
cose antiche e la natura (è
prevista la raccolta dei rami
di ginestra sulle colline, la
loro bollitura tra canti e
danze, l’immersione del materiale
nell’acqua corrente,
la battitura, la cardatura, la
pettinatura e così via fino alla
produzione del filo per la
tessitura). Dal 12 al 18 aprile,
invece, ci sarà la possibilità
di rivivere gli antichi riti
e le tradizioni della Settimana
Santa.
A proposito: i giovani di
Riace hanno vinto la loro
scommessa. Solo nell’agosto
scorso hanno registrato
1.000 presenze, e continuano
ad arrivare prenotazioni
non solo dall’Italia ma anche
dall’estero. Oggi Riace è
più viva che mai.