GIUSEPPE. Come può Dio chiedere ad Abramo di offrire in sacrificio la vita del figlio Isacco ed essere considerato capostipite dei “credenti” per aver accettato di programmare un omicidio? A questa logica si può collegare il sacrificio redentore della croce di Cristo accettato in obbedienza al Padre?
L’offerta del figlio è il dono supremo che Dio chiede al credente, ma che in Abramo non si realizza nella morte cruenta di Isacco, in quanto, una volta verificata l’assoluta fiducia espressa nella fede del patriarca, tale morte non è necessaria. A Cristo il Padre chiede il dono totale di sé e il Figlio si abbandona totalmente alla sua volontà, nel Getsemani e sulla croce. È questo atto del dono libero di sé compiuto da Cristo che salva l’umanità dal peccato e dalla morte eterna. Non è il Padre che uccide il Figlio sulla croce. Egli muore di morte violenta perché subisce un’ingiusta condanna in un contesto di peccato e di rifiuto della sua persona e del suo messaggio. Così il martire cristiano non viene ucciso da Dio, ma dagli uomini e, a differenza del kamikaze fondamentalista, non provoca sofferenza e morte, ma subisce, tentando anche di evitarlo, il martirio fisico. Lo stesso Gesù aveva chiesto al Padre, se possibile, di allontanare da lui il calice della passione e della croce, abbandonandosi quindi al Suo volere incondizionatamente.