Caro don Antonio, sono un’insegnante
in pensione, indignata per quanto sta
succedendo a Ventimiglia, dove i migranti
sono ammassati sugli scogli o
bivaccano alla stazione, in attesa di
poter transitare verso Paesi europei
che, invece, egoisticamente li respingono indietro.
Credo che i nostri politici dovrebbero
adoperarsi per ottenere dall’Europa il rispetto
dei diritti umani, tra i quali quello di spostarsi
liberamente e di vivere dignitosamente.
Nel caso in cui l’Italia fosse costretta ad
agire da sola, senza l’aiuto europeo, dovrebbe
offrire un’opportunità a tutti i migranti,
senza distinzione fra i richiedenti asilo per
motivi politici e i cosiddetti “economici”.
Forse che i nostri migranti italiani, in passato,
sono stati rimpatriati dall’America o dalla
Germania? Non è un diritto fuggire dalla
fame? Sento, invece, parlare di distruzione
delle imbarcazioni e di rimpatrio forzato, il
che signicherebbe, oltre ai costi, rispedirli
nella miseria di cui noi europei siamo, almeno
in buona parte, responsabili, dai tempi del colonialismo
no ai nostri giorni.
Mi permetto di condividere con lei la mia idea, che è quella di inviare queste persone, in modo proporzionato, presso i piccoli comuni abbandonati o quasi, specie quelli di montagna. Se si dà loro una casa vuota e un appezzamento di terreno incolto, queste zone d’Italia si ripopolerebbero. D’altronde, il nostro Paese non è, forse, a crescita zero? Naturalmente, la stessa possibilità si dovrebbe offrire anche a giovani italiani disoccupati, single o in coppia, per non creare dei ghetti. Si potrebbero, quindi, riaprire le scuole ormai chiuse, dando lavoro a insegnanti italiani disoccupati. O affidare loro lavori socialmente utili quali la pulizia dei boschi e dei torrenti, la ricostruzione di muretti a secco, onde prevenire incendi, alluvioni e frane. I salari che comuni e regioni dovrebbero pagare, sarebbero comunque un investimento e un risparmio rispetto ai costi che l’Italia affronta a ogni calamità naturale.
DANIELA C.
La tua idea, cara Daniela, non è affatto
peregrina. Qualche Comune ci ha già
provato e con grandi benefici. Ti faccio
l’esempio di Riace, in Calabria, che è diventato
un modello di accoglienza. Per
anni questa cittadina è stata famosa nel
mondo per il ritrovamento in mare di quelle due
straordinarie statue di bronzo, che ora si trovano
nel Museo di Reggio Calabria. Ma dal mare, attorno
agli anni Duemila, sono venuti anche
altri stranieri, trecento curdi su velieri sgangherati,
in fuga da persecuzioni e dal pericolo
d’essere uccisi. Riace, allora, era un paese in agonia,
le case si erano svuotate per l’emigrazione di famiglie
e giovani, il commercio e l’economia languivano.
Non c’era da sperare in un futuro roseo.
Il coraggio dell’allora sindaco, che ha deciso
di accogliere questi curdi (cui poi si sono aggiunti
profughi ghanesi, afghani, pakistani, eritrei),
mettendo a loro disposizione le case vuote e abbandonate,
ha fatto riorire e rinascere il paese.
Qui l’accoglienza si è trasformata in risorsa
economica. È ripartita l’attività artigianale, si
sono creati posti letto per i turisti, ai telai per la
lavorazione della fibra di ginestra, antichissima
tradizione locale andata in disuso, si sono messe
a lavorare fianco a fianco donne riacesi e africane.
Riace è sì la città dei bronzi, ma ora è più conosciuta
come “paese dell’accoglienza”. Così c’è scritto sui
cartelli all’ingresso di questo antico borgo.
Ma un saggio invito a trattare con più realismo il fenomeno delle migrazioni, puntando all’integrazione più che all’espulsione, come vorrebbero movimenti xenofobi che fanno la loro fortuna politica sulla pelle di questa povera gente, ci viene da un noto editorialista, Ernesto Galli della Loggia.«L’ondata migratoria che sta arrivando sulle coste italiane», scrive sul Corriere della Sera, «è il fenomeno potenzialmente più dirompente sul piano sociale e politico che il nostro Paese si trova ad affrontare dopo il terrorismo. Esso riguarda sì l’Africa e l’Asia, ma riguarda innanzitutto l’Italia, l’Italia che non fa figli». E poi continua: «Degli immigrati noi abbiamo bisogno: nel giro di pochi decenni la nostra economia si fermerà, e saremo condannati a divenire una società di vecchi poveri, senza pensione, isterilita, priva di energie vitali, di creatività. La demografia non è una favola, è una scienza: senza l’immigrazione ci avvieremo a una lenta ma irreparabile scomparsa. Quanti dei nostri cittadini ne sono consapevoli?». Ne è cosciente anche la politica? No, pensa ad altro, ma non al futuro del nostro Paese.