LUIGI MAGNANI - Il miracolo esiste? È uno stravolgimento degli eventi naturali o un fenomeno che ancora non riusciamo a spiegarci allo stato attuale delle nostre conoscenze scientifiche? E perché ad alcuni Dio farebbe il miracolo e ad altri no?
Dai Vangeli apprendiamo che Gesù ha compiuto spesso prodigi e guarigioni e, allo stesso tempo, ha mostrato un atteggiamento severo verso chi cercava solo un segno esteriore, a volte rifiutandosi di intervenire. Perché? Il miracolo, nell’intenzione di Gesù, non è mai un’esibizione di forza del suo essere Messia, uno spettacolo per mostrare la potenza del divino o per accrescere il proprio consenso. Egli non vuole mai costringere le persone alla fede con l’evidenza di un miracolo. Per questo, all’inizio della sua missione, rifiuta l’immagine che il diavolo astutamente gli propone, quella di un Messia che compie prodigi per conquistare il favore della folla. Infatti, ad esempio, dopo la moltiplicazione dei pani Egli parla di sé stesso come il vero pane disceso dal cielo, senza scomporsi perché la folla si allontana.
Al contempo, spesso Gesù non compie nessun prodigio perché vede attorno a sé dei cuori induriti che non credono in lui (cfr. Marco 6,5). Perciò, non usa il miracolo per indurre alla fede ma, al contrario, opera miracoli solo dove c’è uno sguardo di fede che ne riesca a cogliere il vero significato. Il miracolo, infatti, è un segno che manifesta come il Regno di Dio, nella persona di Gesù si è fatto vicino ed è all’opera per la salvezza dell’umanità. Perciò, quando gli chiedono di compiere qualche segno, Gesù rimanda le persone a sé stesso: è Lui il “segno per eccellenza” che attesta l’intervento di Dio nella storia e il miracolo serve per aprirsi, nella fede, alla relazione con Lui. La Chiesa, dunque, crede nell’esistenza dei miracoli come segni che il Signore, nella sua bontà e provvidenza, può operare; tuttavia, va superata l’idea del miracolo come “atto di forza” del divino che intende sospendere le leggi della natura o come un prodigio operato per premiare chi lo riceve.
Bisogna interpretare il miracolo in una visuale più ampia, sganciandolo dalle circostanze strettamente materiali in cui accade: esso non intende negare la scienza o le leggi della natura, ma vuole aiutarci a leggere la realtà come qualcosa che va oltre la materia e che è intimamente legata a Colui che l’ha creata; non intende focalizzarsi sulla persona che lo riceve – infatti, perché a qualcuno sì e a un altro no? – ma a partire dalla storia particolare di quella persona vuole comunicarci che, anche quando non accade una guarigione fisica, Dio si fa vicino a ogni suo figlio e in ogni infermità con compassione.
Lo sguardo di fede ci deve far cogliere che il punto focale non è la guarigione dalla malattia, ma il fatto che, attraverso questo segno, il Signore assicura la sua vicinanza e la sua opera di salvezza a tutti, anche se non tutti guariscono fisicamente. Perciò, il miracolo appartiene all’ordine di Dio e della sua volontà, che accogliamo con stupore e umiltà quando accade; ma, al contempo, gli occhi della fede ci condurranno oltre il “miracolismo” a tutti i costi, per riconoscere i “miracoli” del Signore nella vita ordinaria e quotidiana piuttosto che in eventi straordinari.