La Chiesa italiana che il 25 aprile il cardinale Gualtiero Bassetti ha descritto nel messaggio all’Azione Cattolica è una comunità di donne e di uomini consapevoli di dover plasmare insieme un «futuro che si annuncia ricco di aspettative e di strade nuove da percorrere», tra cui «l’inizio di un cammino sinodale che rappresenta un’autentica novità per la nostra Chiesa e il nostro Paese». Il Sinodo, finalmente. Le misurate parole del presidente della Conferenza episcopale italiana riassumono e sigillano un dibattito lungo sei anni. Ad aprirlo fu il Papa. «La nazione non è un museo, ma è un’opera collettiva in permanente costruzione in cui sono da mettere in comune proprio le cose che differenziano, incluse le appartenenze politiche o religiose», disse Francesco, a Firenze, il 10 novembre 2015. «Mi piace una Chiesa italiana inquieta», aggiunse il Santo Padre, «sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti». Suggerì anche un metodo, il Pontefice, quello sinodale. Tutto rimase sotto traccia fino all’inizio del 2019, quando La Civiltà Cattolica (ri)lanciò la proposta di un Sinodo nazionale. Per quanto inedita, in Italia, ci parve la via più sicura da indicare a tutti, quella in grado di aiutarci a leggere a fondo la storia di oggi e a fare discernimento. Il 2 febbraio di quello stesso anno, un vescovo, monsignor Domenico Pompili, appoggiò l’idea sulle autorevoli pagine dell’Osservatore Romano. Intervennero altri pastori. Avvenire, Famiglia Cristiana, il Regno, la stampa cattolica (ma anche quella laica) in generale alimentò il dibattito. «La sinodalità è una proposta che sentiamo di poter e dover fare a una società slabbrata come la nostra», puntualizzò il cardinale Bassetti il primo aprile 2019. Su La Civiltà Cattolica si espressero ancora padre Bartolomeo Sorge e il sociologo Giuseppe De Rita, ex presidente del Censis. Poi, il tempo sospeso del Covid.
Il 21 gennaio scorso la rotta è stata aggiornata. Andando «oltre le emergenze», ha detto Bassetti, l’Italia deve ricomporre le quattro «fratture» (sanitaria, sociale, educativa, delle nuove povertà) che l’hanno piegata con una capillare «opera di riconciliazione». Il 30 gennaio 2021 Francesco ha rilanciato la proposta in maniera decisa, affermando: «La Chiesa italiana deve incominciare un processo di Sinodo nazionale». Per farlo, come a modo suo ci ha confermato la pandemia azzerando le differenze di censo, razza, cultura e religione, non c’è che il «camminare insieme», il Sinodo appunto, parola greca che nasce in campo politico ma che su mandato di Gesù Cristo la Chiesa ha adottato come l’abito buono con cui presentarsi. «Siamo tutti sulla stessa barca», ha ripetuto il Pontefice: oggi i credenti sono chiamati a remare insieme. E a farlo – è bene affermarlo con chiarezza – con la consapevolezza di essere anche cittadini. Il Sinodo è fatto di somme, di molteplicità, di differenze accolte, di ascolto, di tratti di strada condivisi, ciascuno con il proprio passo. Parla del potere, ma ne offre un approccio radicalmente diverso. Offre la garanzia di abitare la storia donando, senza alterigia, quel supplemento d’anima di cui oggi c’è più che mai bisogno. Il Sinodo deve essere un «esercizio spirituale» della Chiesa italiana, un contesto di discernimento, non di puro dibattito tra maggioranze e minoranze. E i frutti verranno per la grazia dello Spirito Santo.