Non so se il sogno del cardinale Martini si sia avverato. Di certo, se fosse vivo oggi non gli dispiacerebbe la nuova Chiesa di papa Francesco, un gesuita come lui ed entrambi candidati nel Conclave del 2005 per la successione a Giovanni Paolo II. Pochi giorni prima di morire, nell'agosto dello scorso anno, il cardinale Martini rilasciò un'intervista a padre Sporschill, pubblicata sul Corriere della Sera, una sorta di testamento spirituale che suscitò un ampio dibattito, consensi e qualche dura polemica. In quel testo il cardinale denunciava il ritardo della Chiesa su tante questioni aperte, che ancora attendono risposta. «La Chiesa», disse, «è indietro di duecento anni», a significare come avesse perso l'ottimismo, la freschezza e lo slancio che la caratterizzavano negli anni del concilio Vaticano II. E non solo per le vicende dei preti pedofili, dei corvi in Vaticano e degli scandali dello Ior, ma perché l'immagine che si percepiva era quella di una Chiesa stanca e invecchiata, appesantita da un apparato burocratico e ipertrofico, e da riti e abiti pomposi. In difficoltà a riaccendere quella brace di amore che cova sotto una spessa coltre di cenere, a rinnovarsi e a essere guida per le nuove generazioni, con uomini liberi e più a servizio del prossimo, soprattutto degli ultimi e dei poveri. Per vincere questa stanchezza Martini ha indicato tre "vie", che sono la "parola di Dio", la "conversione" e i "sacramenti". «La Chiesa», diceva, «deve avere la forza di riconoscere i propri errori e percorrere un cammino di radicale cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi». Di fronte a tante situazioni "irregolari" ricordava che «l'amore è grazia, dono di Dio». A tre anni dalla sua morte, il messaggio di Martini è quanto mai vivo e attuale, come dimostra la lettera che riportiamo qui in basso.
Il 31 agosto 2012, sul finire dell'estate, il cardinale Martini ha lasciato la vita terrena e ci ha consegnato, come eredità preziosa, un sogno: quello di una Chiesa più accogliente, che va incontro alle persone senza giudicarle, che non sale in cattedra ma preferisce sedersi a tavola con tutti. Una Chiesa più sinodale, sempre in cammino e, quindi, bisognosa di strutture più leggere. Più povera e più libera, disposta a rischiare. Un sogno che viene da lontano, coltivato da almeno mezzo secolo con le speranze del concilio Vaticano II. E che, con la scomparsa di Martini, sembrava svanito o proiettato in un futuro distante. Invece, dopo appena due stagioni, sul finire dell'inverno, è arrivata la coraggiosa decisione di Ratzinger. Poi, l'elezione di Bergoglio, gesuita come Martini, con un nome che è già un programma: Francesco. E ancora una serie impressionante di gesti, tutti nella direzione sognata da Martini. Ora quella brutta bestia chiamata "diffidenza" potrebbe dire: «Ma non è troppo per essere vero?». Oppure insinuare dubbi sull'autenticità di quanto accade: «È tutto calcolato! La Chiesa indebolita dagli scandali ha bisogno di proporsi in modo nuovo ma, alla fine, tutto tornerà come prima ». Alcuni, poi, si lasciano andare a ipotesi complottistiche: «Questo Papa, prima o poi, lo bloccano. Se continua ad attaccare i poteri forti, farà la fine di Luciani». Io non sono in grado di fare previsioni. Cerco, invece, di capire la reazione di chi, a questo sogno, ci ha sempre creduto. E ora si trova di fronte a un'occasione straordinaria. C'è il rischio, però, di non saperla cogliere. Come l'innamorato che ha corteggiato a lungo l'amata e quando lei si offre, resta pensoso e si nega per paura. O, peggio, per risentimento, per i tanti no ricevuti in passato. Sarebbe imperdonabile vivere così questo momento. Quel che sta succedendo nella Chiesa è bello, dà gioia e speranza a tanta gente. La fede muove le persone a riconoscersi come fratelli e abbracciarsi. Un nuovo atteggiamento che rende tutto diverso. Così, i migranti non sono più clandestini da respingere, i poveri "scarti della società", i giovani "esistenze vuote e senza futuro" e gli anziani "un peso". Tutti sono portatori di umanità e dignità. L'incontro diretto cambia tutto. L'albero della Chiesa è in movimento, ma servono di più i rami – braccia che si allungano – che le radici. Queste ci danno stabilità, ma ci costringono a restare fermi, immobili. Come fu per Gesù e gli apostoli, sempre in cammino verso nuovi incontri. Come fu per i profeti e anche per Martini. Anch'egli, come Mosè, non vide la "Terra promessa", ma si fermò vicino alla meta, ad appena due stagioni di distanza. Nell'ultima sua intervista disse: «Consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo Spirito possa diffondersi ovunque». La Chiesa che sta arrivando è quella sognata da Martini? Io spero di sì, anche se il cammino è ancora lungo. Solo un timore deve accompagnare chi cammina con la Chiesa: che qualcuno venga dimenticato o escluso. Ma il "vescovo di Roma" ce lo ricorda tutti i giorni.
Lettera di Giovanni T. - Padova