Quattro interminabili ore. È questo il tempo che Gianluca Ardini, 29 anni, genovese, ha trascorso tra le macerie del suo furgone, incastrato tra due pilastri del ponte Morandi, dopo un volo di 40 metri. Era quel terribile 14 agosto: a testa in giù, accanto al collega deceduto, pregando che qualcuno lo trovasse. Ripetendo incessantemente al pompiere “angelo” che l’ha messo in salvo: «Non posso morire perché devo conoscere mio figlio».
Un mese dopo, infatti, il 13 settembre, la fidanzata Giulia ha dato alla luce Pietro. Gianluca era ancora ricoverato in ospedale, «ma con il cuore e con la vita ero lì con loro», dice. «E oggi che quel piccolo lo tengo tra le braccia mi sento un miracolato».
Lo incontriamo nella casa dei suoceri a Genova, dove lui e Giulia sono ospiti da qualche mese, in attesa che sia pronto il loro appartamento. I due ragazzi si scambiano sguardi di grande tenerezza, mentre ripercorrono con la memoria l’inferno di quella giornata. La notizia del crollo del ponte appresa casualmente dalla Tv, i messaggi di Giulia a Gianluca per avvisarlo di quanto accaduto, qualora tornando a casa avesse trovato traffico. Quei WhatsApp consegnati e non letti per troppo tempo e un terribile sospetto che diventa realtà quando Walter, il padre della ragazza, inforca la moto per andare al magazzino di cucine dove lavora il giovane per capire quali sono le consegne della giornata e ricostruire così, attraverso il tragitto, se Gianluca è rimasto coinvolto. Ultima tappa Voltri, e la certezza a quel punto del motivo del suo silenzio. Dall’altra parte Gianluca, che quel ponte l’ha percorso mille volte e di quel giorno ricorda: «Ho visto l’asfalto venarsi e noi sprofondare giù».
Oggi per fortuna tutto questo è passato. Gianluca abbraccia il suo piccolo Pietro e cerca di volgere in positivo il tempo che gli è stato donato dall’infortunio facendo il papà a tempo pieno. «I suoi sorrisi», confida, «sono la mia miglior medicina e Giulia è stata una compagna coraggiosa ed eccezionale». Giulia, che ora lo guarda con gli occhi di chi sa che ha rischiato di perderlo e che ha partorito con l’aiuto di mamma Brunella: «Abbiamo fatto coppietta come sempre nella vita», commenta la neononna confortata dalla presenza del nipote Marco, cugino di Giulia, «che per primo con me ha preso in braccio il piccolo».
Ed è davvero ubriacante il mix di emozioni di una coppia che nel giro di un mese ha visto in faccia la morte: «Pensavo di impazzire quel giorno; ero vedova ancor prima di essermi sposata e Pietro era orfano ancora prima di essere nato», dice Giulia, con Gianluca che incalza: «Di quelle quattro ore ricordo i dolori lancinanti per il bacino rotto e di aver pianto perché avevo paura». Un mese dopo, questa stessa coppia è stata travolta dalla gioia della vita. «Appena mi hanno dimesso ho portato Pietro in ospedale da Gianluca» racconta Giulia. «Non dimenticheremo mai l’emozione di quell’abbraccio, finalmente insieme, finalmente in tre».
Oggi ripartire non è semplice. Gianluca, che ha una calma encomiabile nonostante ciò che ha passato, una lesione permanente al braccio e all’occhio sinistro, aspetta fiducioso che la giustizia faccia il suo corso. Non vuole entrare nelle vicende legali, sa solo che qualunque sarà il risarcimento non basterà a restituirgli la normalità della vita. Di giorno, a casa dal lavoro per infortunio chissà ancora per quanto tempo, fa i conti con uno stipendio abbondantemente decurtato e le spese che con l’arrivo del piccolo sono inevitabilmente aumentate. Di notte, invece, si confronta con l’angoscia di quei momenti. Ed ecco perché si aiuta con qualche goccia per dormire e sia lui che la fidanzata si fanno seguire da una psicologa.
Ma ce la faranno, perché sono giovani, hanno tutta la vita davanti e grandi progetti: «Il primo, battezzare Pietro e poi, appena sarà pronta la casa, convolare a nozze». L’esperienza che hanno vissuto e che stanno cercando di superare insieme ha rinsaldato un legame di quattro anni. In Gianluca, poi, ha riacceso un sentimento di fede alimentato dalla gratitudine. «In occasione del quarto mese di vita di Pietro» racconta, «sono andato alla Madonna della Guardia che si vede perfettamente dal ponte Morandi. Ho sentito il bisogno di ringraziarla, perché ho la certezza che da lassù mi abbia custodito. Guardando i quadri dei miracoli appesi alle pareti del santuario ho pensato: “Tra quelli ci sono anche io”».
E oggi che ha realizzato il suo più grande sogno, “vivere e partecipare” della nascita di Pietro, ha ancora un desiderio e ce lo consegna: «Incontrare Francesco perché ci metta una mano sulla testa, ci benedica e per sempre ci protegga».
Foto di Matteo Montaldo