Da oltre due mesi e mezzo in testa alla classifica dei dischi più venduti in Italia c’è Out dei The Kolors. Roba che ormai non riesce più nemmeno a gente come Vasco Rossi e Jovanotti. Figuriamoci allora come devono sentirsi questi tre ragazzi che, prima della ribalta di Amici, erano conosciuti solo nei locali milanesi dove si esibivano. E infatti confessa Antonio “Stash” Fiordispino, cantante e leader del gruppo: «Sono reduce da alcuni giorni di vacanza perché avevo bisogno di staccare la spina. Quando ripenso a quello che ci sta succedendo mi viene la pelle d’oca. Siamo tre musicisti che, con grande forza di volontà, come si dice a Napoli a pizziche e a muzziche, sono riusciti a raggiungere il loro sogno. Ma vogliamo restare sempre noi stessi, tre ragazzi che sono cresciuti insieme».
-Non temi quindi che questo successo improvviso possa travolgervi?
«Quando arrivi da tanti concerti fatti davanti a dieci persone, penso sia più facile restare con i piedi per terra. La frase che ci ripetiamo sempre è: dobbiamo prima di tutto divertirci. Oggi lo facciamo su un palco davanti a tante persone, domani magari saranno meno della metà, ma intanto pensiamo a goderci appieno questo momento senza pensare troppo al futuro».
-Cosa ti ha sorpreso di più?
«L’ampiezza del target di chi ci segue. Ai concerti vedo padri che portano sulle spalle le figlie cantare insieme le nostre canzoni a squarciagola. Credo che sia il sogno di ogni musicista».
-Come vi siete incontrati?
«Ai tempi delle medie a Napoli ho messo su il mio primo gruppo. Ho iniziato anche a scrivere canzoni e alla prima che ho registrato ha partecipato anche il mio cuginetto, Alex. Finito il liceo mi sono trasferito a Milano per frequentare l’Accademia di Brera: in realtà l’ho fatto solo perché lì ci sono tutte le case discografiche. Alex è venuto con me e a Milano abbiamo conosciuto Daniele che, per combinazione, è di Cardito, lo stesso paesino in provincia di Caserta in cui siamo nati noi. In più, abbiamo scoperto di avere gli stessi gusti. Così sono nati i Kolors».
-È vero che nei primi tempi per mantenervi vendevate mozzarelle?
«Non volevo pesare sui miei genitori per comprarmi un nuovo amplificatore. Così al mercoledì notte andavo al mercato ortofrutticolo, compravo delle mozzarelle e poi con gli amici della band le vendevamo in luoghi dove di solito passano parecchi napoletani, come gli uffici postali».
-In quel periodo hai vissuto anche a Londra, vero?
«Sì, e anche adesso appena posso ci torno. Girare nei suoi locali è come per un avvocato fare un corso di aggiornamento: le novità musicali nascono lì».
-Tuo padre ha uno studio di registrazione a Napoli. Ti è capitato di incontrare qualche cantante famoso?
«Sì, mio padre ha collaborato con Tony Esposito e Sal Da Vinci. E poi una volta, ero ancora un bambino, vidi un omone scendere lentissimamente dalle scale: era Pino Daniele».
-Il ciuffo che porti ha un significato particolare?
«No, ce l’ho ormai da molti anni. Forse, inconsciamente, mi sono fatto condizionare dal look di band come gli Wham e i Duran Duran».
-Perché cantate in inglese?
«Vale lo stesso discorso del ciuffo. I gruppi con cui mi sono formato, dagli XTC ai Pink Floyd ai Led Zeppelin, sono inglesi e così quando devo associare un testo a una canzone mi viene automatico farlo in quella lingua».
-Però nelle scalette dei vostri concerti c’è anche Il mondo di Jimmy Fontana. Come mai?
«Perché ai nostri concerti vengono persone che ci hanno conosciuto ad Amici e Il mondo è una delle canzoni con cui ci siamo esibiti. Però è molto bello farla. Vedi ragazze e ragazzi che ti riprendono con gli smartphone come se ascoltassero una canzone nuova. E per molti di loro lo è. Far scoprire una pietra miliare della musica italiana per noi rappresenta una grande vittoria».