Non solo «non uccidere». Padre Stefano Zamboni commentando il quinto comandamento spiega bene, fin dall’inizio, che Gesù amplia le parole del decalogo così che l’obbligo non riguarda soltanto il non sopprimere la vita dell’altro, ma si estende a tutto ciò che ne mina la dignità. Per questo il Catechismo parte dal «rispetto della vita umana» aggiungendo il «rispetto della dignità delle persone» per concludere con «la difesa della pace».
Il rispetto della vita umana è dovuto sempre (confermato, ovviamente, il no all’aborto) e da chiunque. Non è dunque mai lecito uccidere. Anzi, come è scritto nel catechismo, «la legittima difesa delle persone e della società non costituisce un’eccezione alla proibizione di uccidere l’innocente». Citando Tommaso il teologo spiega che se, nel difendere la propria vita, viene ucciso l’aggressore, questo, in realtà, non è un atto volontario, ma preterintenzionale. Inoltre, nel nuovo commentario, nota padre Zamboni, vi è una diversa formulazione del tema della pena di morte. Se nella prima edizione veniva in qualche modo riconosciuto il diritto/dovere dell’autorità a infliggere pene proporzionate al delitto «senza escludere, in casi di estrema gravità, la pena di morte», nella nuova edizione si precisa meglio che questi casi «sono ormai molto rari se non addirittura praticamente inesistenti».
E se è proibito sempre l’omicidio diretto e volontario», il testo del nuovo compendio ricorda anche che è proibito provocare indirettamente la morte di una persona, per esempio esponendola a rischi o rifiutando l’assistenza a chi è in pericolo. «Si pensi», scrive il teologo, «alle gravi condizioni di miseria in cui giacciono intere società, oppure a pratiche usuraie e mercantili che provocano la fame e quindi la morte».
Si ragiona anche di «guerra giusta». «Teoria contestata da numerosi teologi che ne invocano l’esplicito abbandono», dice Zamboni. Che ricorda come non si parli di legittimità della guerra (non è mai legittima) ma della difesa armata. Elencando, tra i criteri per cui quest’ultima può essere usata, la condizione che «il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare» e che «nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione». Non è possibile una casistica, ma l’uso della difesa armata «spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune».