Romania, Ucraina,
Moldavia. Ma anche Filippine, Perù e Sri Lanka: gli assistenti
familiari in Italia sono soprattutto lavoratori immigrati, hanno un
livello di istruzione elevato e una grande capacità di risparmio.
L'identikit tracciato dall'Agenzia Tu Unicredit e Unicredit
foundation aiuta a offrire un quadro più completo di questo spaccato
di società italiana, variegato, complesso e destinato a crescere
nonostante la crisi. Badanti, colf e baby sitter: basta guardarsi
intorno al parco giochi come al mercato per capire quanto queste
persone siano parte integrante della nostra quotidianità.
Ma chi sono, cosa fanno,
come vengono trattati, come considerano gli italiani e quali rapporto
hanno con i Paesi d'origire c'è lo spiega proprio questo studio:
sono oltre 750mila i lavoratori stranieri censiti dall'Istat che si
occupano, in forme diverse, di assistenza familiare (oltre 81mila
nella sola provincia di Milano) e rappresentano la categoria più
numerosa tra i lavoratori immigrati in Italia.
Sono prevalentemente
donne, capaci di mettere da parte fino a 250 euro al mese, denaro
che viene guadagnato e poi spedito ai familiari rimasti a "casa":
il 47,2% è sposato, il 10,9% vedovo, il 17,7% separato e divorziato,
mentre i celibi/nubili sono meno di un quarto. Quasi tre quarti degli
intervistati hanno figli, solo un terzo ha intenzione di procedere
con il ricongiugimento mentre il 48,3% non vuole percorrere questa
strada: questo significa che tale immigrazione viene vissuta con un
sentimento di temporaneità.
Tra gli intervistati risulta che il
26,7% ha conseguito il diploma e il 18% ha frequentato l'università.
Meno soddisfacente è la formazione specifica ricevuta per le cure
delle persone: appena il 24,7% ha dichiarato di essere stato
preparato. Un problema è sicuramente costituito dalla mancanza di
diffusione di conoscenze dei propri diritti: oltre il 33% non fruisce
pienamente dei giorni di riposo settimanali previsti dal contratto
collettivo nazionale e il 56,5% non presenta la dichiarazione dei
redditi quando obbligatoria. Inoltre il 26,2% lavora tra le 41 e le
60 ore alla settimana, il 4% supera addirittura le 60 ore e il 7,3%
non riceve la tredicesima. Il reclutamento non segue strade istituzionali: è il passaparola tra connazionali, infatti, lo
strumento che garantisce al 61% di trovare lavoro.
Dall'indagine
emerge anche un affresco delle persone che ricevono assistenza
familiare: il 53,1% sono anziani e nel 36,5% si tratta di famiglie,
soprattutto quelle con figli. È stato ipotizzato che se non ci
fossero le badanti lo Stato dovrebbe investire 45 miliardi di euro
per assicurare un servizio analogo. Per quanto parziale, è davvero
interessante il dato relativo all' "apprezzamento": il
lavoro di assistente alle famiglie viene svolto con piacere dalla
maggior parte degli intervistati, molto o moltissimo nel 37,2% dei
casi, abbastanza in un consistente 47,7%.
Il comportamento delle
famiglie viene promosso a pieni voti, perché il loro trattamento va
benissimo (27,1%) o bene (64,5%) e appena 1 ogni 60 dichiara di
essere stato trattato male o malissimo. I dati relativi alla
decorrenza del contratto sono diversi: l'8 2% degli intervistati ha
un regolare contratto da meno di un anno, il 26,2% da uno a tre anni,
il 25,2% da tre a cinque anni, e il 28,1% da oltre cinque anni. La
durata risulta relativamente contenuta sia perché nel settore è
ricorrente il cambiamento, sia perché non è elevata l'anzianità
migratoria.