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mercoledì 23 aprile 2025
 
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«Non una Chiesa potente, ma che sa consolare»

01/10/2016  Nell'omelia della messa allo stadio Meskhi, a Tbilisi papa Francesco ricorda che la Chiesa non può rinchiudersi in se stessa o avere logiche di efficienza e potere, ma diventare piccoli come i bambini, capaci di abbandonarsi alla tenerezza di Dio. Per portare agli altri accoglienza e consolazione

Papa Francesco guarda alle donne, alle madri e alle nonne, a santa Cristiana, detta santa Nino, che ha seminato la fede in terra georgiana. Nel giorno in cui la Chiesa ricorda Teresa del Bambin Gesù, la santa tanto cara a Bergoglio, il Papa ricorda che proprio lei scriveva che le donne «amano Dio in numero ben più grande degli uomini». E anche in Georgia, «tra i tanti tesori di questo splendido Paese risalta il grande valore delle donne». Sono loro che custodiscono e tramandano la fede ed è alla loro immagine di madri che consolano i figli che possiamo guardare per capire che possiamo abbandonarci nelle braccia di Dio capace di consolazione nella stessa misura. «Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò», ricorda il Papa citando Isaia. E aggiunge: «Dio ama farsi carico dei nostri peccati e delle nostre inquietudini; Egli, che ci conosce e ci ama infinitamente, è sensibile alla nostra preghiera e sa asciugare le nostre lacrime. Guardandoci, ogni volta si commuove e si intenerisce, con un amore viscerale, perché, al di là del male di cui siamo capaci, siamo sempre i suoi figli; desidera prenderci in braccio, proteggerci, liberarci dai pericoli e dal male».

E la consolazione ha bisogno di un cuore che si apre, che non si fa rinchiudere nel pessimismo, che non si abitua «alle cose che non vanno, alle realtà che mai cambieranno». Vangelo, confessione, eucaristia ci aiutano a non «rinchiuderci nella tristezza, nei sotterranei dell’angoscia, soli dentro di noi».

Ma non basta un cuore che si apre. Occorre anche una comunità. Rivolgendosi alla piccola minoranza dei cattolici presenti allo stadio, ma anche ai fedeli della Chiesa apostolica armena e ai fedeli della Chiesa ortodossa georgiana, presenti anche se non con la delegazione ufficiale che era stata annunciata alla vigilia, per la prima volta, alla messa del Papa, Francesco ricorda che «quando siamo uniti, quando c’è comunione tra noi agisce la consolazione di Dio». E aggiunge: «Nella Chiesa si trova consolazione, la Chiesa è la casa della consolazione: qui Dio desidera consolare». E il cristiano non vive nella comunità come un ospite, ma è chiamato lui stesso a portare consolazione agli altri, «è sempre chiamato a infondere speranza a chi è rassegnato, a rianimare chi è sfiduciato, a portare la luce di Gesù, il calore della sua presenza, il ristoro del suo perdono. Tanti soffrono, sperimentano prove e ingiustizie, vivono nell’inquietudine. C’è bisogno dell’unzione del cuore, di questa consolazione del Signore che non toglie i problemi, ma dona la forza dell’amore, che sa portare il dolore in pace».

Infine, per accogliere e portare la consolazione di Dio è necessario diventare piccoli come bambini. Il Papa insiste: «La vera grandezza dell’uomo consiste nel farsi piccolo davanti a Dio. Perché Dio non si conosce con pensieri alti e tanto studio, ma con la piccolezza di un cuore umile e fiducioso. Per essere grandi davanti all’Altissimo non bisogna accumulare onori e prestigio, beni e successi terreni, ma svuotarsi di sé». Come già aveva detto in altre occasioni, Francesco chiede una Chiesa che «non si affida ai criteri del funzionalismo e dell'efficienza organizzativa», che «non bada al ritorno di immagine», ma che sia piuttosto a seguire «la legge dell’amore: l’accoglienza, l’ascolto, il servizio».

E ancora, citando Santa Teresa, «esperta nella scienza dell’Amore» il Papa spiega che la santa «ci insegna che "la carità perfetta consiste nel sopportare i difetti degli altri, nel non sorprendersi delle loro debolezze, nell’essere edificati anche dai minimi atti di virtù che li si vede praticare»; ci ricorda anche che «la carità non può rimanere chiusa nel fondo del cuore"».

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