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sabato 24 maggio 2025
 
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Quel grido del Papa contro la mafia e l'omertà

09/05/2023  Il 9 maggio 1993, trent'anni fa esatti, san Giovanni Paolo II invocò il pentimento degli uomini dei clan. Fu un discorso storico, il suo. Che scosse le coscienze. Ecco perché. Ripubblichiamo la riflessione di don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, già apparsa sul sito di Famiglia Cristiana tempo fa.

di don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera

Era il 9 maggio del 1993. Giovanni Paolo II, in visita in Sicilia, incontra i genitori di Rosario Livatino, giovane giudice assassinato da Cosa nostra. Poco dopo, dalla Valle dei Templi di Agrigento, sovvertendo il protocollo, chiamerà la mafia «una civiltà di morte» ed esorterà i mafiosi a convertirsi.

La reazione non si fa attendere. Il 27 luglio, la dinamite danneggia a Roma le chiese di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio al Velabro. Il 15 settembre viene assassinato don Pino Puglisi e pochi mesi dopo don Peppe Diana. Quella stessa estate, i magistrati avevano raccolto le confessioni di un mafioso di primo livello, Francesco Marino Mannoia: «Nel passato la Chiesa era considerata sacra e intoccabile. Ora invece Cosa nostra sta attaccando la Chiesa perché si sta esprimendo contro la mafia. Gli uomini d’onore mandano messaggi chiari ai sacerdoti: non interferite».

Ricordare il discorso del Papa, significa allora essere capaci – come sacerdoti, come cristiani e come cittadini – d’interferire. Interferire denunciando le violenze e i soprusi. Interferire mostrando nelle scelte e nell’impegno che il Vangelo è incompatibile non solo con le mafie, ma con la corruzione, l’indifferenza, le disuguaglianze e le distruzioni di bene comune su cui le mafie edificano i loro imperi.

Se il discorso del Papa fu uno spartiacque, è perché d’allora non è stato più possibile giustificare silenzi, complicità, omissioni. La fede non può essere un salvacondotto. Non ci esonera dalle responsabilità sociali e civili, dal contribuire a costruire già in questa vita speranza e giustizia. Livatino che – amo credere – ispirò quel giorno l’accorata denuncia del Papa, aveva scritto su un quaderno: «Non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili».

(testo già pubblicato sul sito di Famiglia Cristiana il 9 magguio 2014) 

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