Manifestazioni ovunque, da Milano a Napoli, proteste di piazza, cortei studenteschi, blocchi dei caselli, disagi generalizzati, scioperi dei trasporti e semiparalisi dei mezzi pubblici. Un venerdì nero da dimenticare, quello messo in campo dai sindacati di base, Cobas, Cub e dalle altre sigle che hanno decretato lo “sciopero generale e sociale”. Obiettivo della protesta: il Governo e le politiche legate al Jobs Act, al piano di riforma della scuola e alla legge di stabilità. Spesso le proteste sono sfociate in scontri con la polizia, con lanci di uova, bottiglie e fumogeni. L’Italia è rimasta praticamente paralizzata, il traffico è andato in tilt, gli aereoporti hanno cancellato numerosi voli.
Cosa resta dopo una mattinata del genere? Resta lo specchio di un’Italia che affida a una rabbia cieca il malcontento e le sofferenze della crisi che stiamo vivendo da anni. Un'Italia divisa, frazionata, parcellizzata in tanti piccole sigle e siglette sindacali autonome, incapaci di far sentire la propria voce se non attraverso la piazza, dando un'immagine del Paese convulsa, disorientata, non certo all'altezza di uno Stato europeo. Ma è difficile che il Governo possa invertire la rotta dopo il lavoro di mediazione degli ultimi giorni di Renzi. Il premier sembra intenzionato a chiudere la partita dell’Italicum e delle altre riforme entro la fine dell’anno, in modo da presentarsi all’Europa, alla fine di un semestre di presidenza sostanzialmente inavvertito, con un Paese diverso. Persino sul Jobs Act pare aver convinto gli alleati del Nuovo Centro Destra. Un Paese che cambia, che finalmente conclude un progetto di cambiamento, come chiede Bruxelles .
I giorni della rabbia non sono certo finiti. La Cgil ha proclamato lo sciopero generale per il 5 dicembre, ma è probabile che assisteremo da qui al 31 dicembre a una serie infinita di manifestazioni e di disagi. La Cisl e la Uil si sono sfilate dalla strategia di Camusso e Landini. Ma la Cgil ormai ha bruciato i ponti alle spalle per intraprendere una strada difficile, un sentiero stretto che potrebbe concludersi con una serie di proteste incontrollate come gran parte di quelle di oggi. Una gigantesca prova di forza del sindacato o la manifestazione di una debolezza e di una difficoltà delle organizzazioni di tutela dei lavoratori di cambiare, di affrontare la strada della mediazione ostinata, del dialogo, di chiusura in uno sterile conservatorismo sociale, come accusa il premier?