C'è una donna, a Kampala in Uganda, che non ha mai smesso di credere nel valore della vita umana. Anche quando attorno a sé, negli slum della capitale ugandese, tutto lasciava pensare che l'essere umano non avesse alcuna dignità, svilita da fame, povertà e malattie. Anche quando, come infermiera specializzata in malattie infettive, ha cominciato a occuparsi dei reietti tra i reietti, gli uomini e le donne malati di Hiv e Aids, e dei loro orfani.
Questa donna coraggiosa dall'aspetto bonario ma dalla volontà ferrea, si chiama Rose Busingye. Rose ama ripetere che la sconfitta della piaga dell'Hiv passa innanzitutto dal proteggere il valore della vita: "Anche se mancano due giorni a morire, mancano dieci giorni, manca un anno, mancano tre anni... Vale la pena viverli. Perché hanno una ragione, hanno un motivo. Se non ci rendiamo conto di questo, anche se portassero un vaccino... Se uno non conosce il valore della vita, anche il vaccino non serve a niente".
Rose Busingye ha sempre creduto non solo che ogni vita fosse degna di essere vissuta, ma soprattutto che ogni vita meritasse di essere vissuta al meglio. Per questa ragione ha fondato il Meeting Point International, una Ong che opera in quattro slum di Kampala, Naguru, Kireka, Ntinda e Nsambya.
L'associazione ha coinvolto più di 2000 donne, alcune delle quali anche sieropositive, aiutandole a diventare promotrici di un radicale cambiamento nella loro vita e, di riflesso, trasformandosi in un motore di sviluppo che ha migliorato notevolmente la qualità di vita dei quartieri in cui abitano.
Da emarginate a promotrici di sviluppo: non solo le donne del Meeting Point International hanno appreso un lavoro, ma hanno creato una rete di sostegno reciproco. Uno dei risultati tangibili è stato volere una scuola di qualità per i loro figli, perché hanno compreso l'importanza dell'istruzione come strumento di emancipazione.
Rose e le donne del Meeting Point International sono assurte alla popolarità internazionale nel 2005, ai tempi dell'Uragano Katrina che devastò New Orleans negli Stati Uniti. Quando venne a sapere dell'uragano, Rose chiese alle donne dell'associazione di pregare per le famiglie americane colpite dalla tragedia.
Una di loro le rispose: "Quando tu sei venuta tra noi non ti sei limitata a pregare, ma hai
cominciato a impegnarti con noi per trovare una risposta ai nostri
bisogni. Vogliamo fare qualcosa di concreto anche noi per le famiglie
americane, oltre alla preghiera".
Le donne si mobilitarono in prima persona: raddoppiando i turni di lavoro, vendendo collane fatte in casa, riuscirono a raccogliere 1000 dollari. Una cifra enorme, in Uganda: come dire circa tre anni di lavoro di una di loro. Attraverso la Fondazione Avsi, questa somma giunse a New Orleans. Venuto a conoscenza della loro iniziativa, l'ambasciatore americano in Uganda si recò di persona nello slum per incontrare e ringraziare queste donne.
Ci fu qualcuno che le rimproverò perché, a suo dire, quella somma sarebbe spettata a loro visto la situazione di povertà in cui vivevano, e non ai "ricchi" americani. Margaret, una delle amiche di Rose, gli rispose: "Il cuore dell'uomo è internazionale e si commuove quando incontra una situazione di bisogno. Dovunque questa si manifesti".
La voce di Rose Busingye è arrivata fino a Bruxelles: il 14 maggio è stata invitata a parlare nella città belga per "L'ultimo miglio: al cuore dello sviluppo", un evento organizzato dalla Fondazione Avsi per confrontarsi e discutere sul ruolo della cooperazione allo sviluppo in un tempo di profondi mutamenti globali.
Necessariamente dovrà essere ridefinito il compito delle organizzazioni umanitarie nel momento in cui alcuni Paesi in via di sviluppo potrebbero dotarsi di istituzioni che garantiscano pane, educazione e salute. A restare immutato, sarà il fine ultimo della cooperazione allo sviluppo: creare un nesso tra le persone e il sistema, tra le persone e i servizi: tra bambini e scuola, tra mamme e ospedali dove partorire, tra contadini e mercato, tra imprese e filiera.
Rose Busingye una volta di più ha dimostrato di avere ragione: ancor prima che dalla distribuzione di beni materiali, lo sviluppo passa attraverso le persone, che ne sono il motore primo al di là di burocrazie e regole economiche.
"Non possiamo pensarci come risolutori di problemi", afferma Alberto Piatti, segretario generale della Fondazione Avsi, "ma come motori di processi di sviluppo operati dalle persone. Il punto iniziale dello sviluppo è la persona, e il punto terminale dell'aiuto è la persona. Tanti interventi sono invece a misura di burocrazie e non di persona".