A volte ciò che accade in piccolo, contratto nel tempo e nello spazio, quasi dentro una provetta, permette di vedere meglio i fenomeni più grandi che ci sfuggono. Ciò che è avvenuto a Macerata, cittadina così piccola dove quasi tutti conoscono tutti, tra l’altro in un breve spazio di tempo, mi ha dato questa sensazione di chiarezza.
Dietro tutta questa storia c’è la sottovalutazione di un problema come la droga, che produce giovani deboli e dipendenti. C’è poi il problema dell’accoglienza dei migranti, che è una bella parola, ma se non si completa in una vera azione di integrazione, è solo un parcheggiare delle persone che la malavita e il disagio sociale possono poi arruolare fin troppo facilmente. Infine c’è un pensiero politico che crede di trovare soluzioni facili e veloci a problemi complessi, attraendo le menti fragili a cui propone la scorciatoia della violenza. Dentro questa provetta ho letto un’intera società, quella italiana e non solo quella maceratese, che si confronta con un fallimento educativo. Non siamo stati capaci di passare ai nostri giovani i valori che ci hanno permesso di uscire da una dittatura, affrontare un dopoguerra pieno di macerie e costruire nonostante ciò una democrazia stabile, che ha superato il terrorismo e ha portato cultura e benessere. Questi sono i fatti. Almeno questo sembra chiaro in uno spazio piccolo e in un tempo breve.
Se le cose stanno davvero così, il cammino sarà lungo, molto più lungo di quello che ci separa dai primi di marzo, quando per un miracolo elettorale tutti ci promettono di poter risolvere i problemi che abbiamo davanti, a patto di avere il nostro voto.
Non si tratta di tornare indietro agli anni ’50, perché allora c’era solo l’Italia e forse un po’ di Europa da ricostruire. Ora c’è da costruire una convivenza mondiale, un sistema economico che superi le fragilità di un capitalismo progettato in un mondo piccolo e ben più di due secoli fa. Soprattutto c’è da costruire un dialogo tra le culture, che parta dai valori umani comuni, non semplicemente dal valore monetario. Chi vuol affrontare questo tema in maniera più chiara e articolata, si vada a rileggere con attenzione l’enciclica Laudato Si’.
Il filo rosso che mi sembra unire la nostra storia maceratese, modello rimpicciolito della storia italiana ed europea di oggi, è la perdita del valore della vita. Chi si droga sa di morire, ma la vita per lui ha ormai perso di valore. Chi spaccia sa di spacciare morte, ma la vita dell’altro ha perso di valore rispetto al fascino dei soldi facili. Chi inizia a sparare sa di poter uccidere o di rischiare di morire, ma la vita vale meno delle idee che crede di poter imporre. La nostra Italia post bellica aveva, dopo tanto odore di morte, una gran voglia di vivere e questo valore condiviso della vita superava barriere e ideologie. Forse potremmo ripartire dal progetto di educare i giovani ad amare la vita, a sentire il gusto di difenderla e diffonderla.
Forse il fascino di Papa Francesco è racchiuso nel fatto che è vivo, ama la vita e trasmette una vita, e una speranza, che tanti hanno dimenticato. Non lo ha mai detto, ma credo che sulle sue labbra non starebbe male una frase del tipo: “Preferisco un peccatore vivo, a un uomo perfetto ma imbalsamato”.
Forse è nella direzione della vita che la nostra società deve cercare di fare qualche timido passo avanti