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domenica 06 ottobre 2024
 
IL PAPA IN PUGLIA
 

"Don Tonino? Forse oggi andrebbe in Siria"

20/04/2018  "Volava ovunque ce ne fosse bisogno perché era animato da un amore senza misura. L'amore può essere solo così, come ci ha insegnato Gesù", dice il vescovo di Molfetta, monsignor Domenico Cornacchia.

«Emozionato tanto quanto basta». Monsignor Domenico Cornacchia, vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, ha il viso arrossato dal sole che batte cocente sulla banchina del porto. «Qui, tra il popolo, in questa terra dove don Tonino Bello, vescovo di questa Chiesa, ha vissuto come pastore, si sente viva vicina e presente la testimonianza di quest’uomo».

Perché è così amato?

«Perché è vissuto coerentemente con ciò che custodiva nel suo cuore. Don Giacomo Alberione, come anche altri santi, diceva: “Se vuoi stare in piedi devi saper stare in ginocchio”. Io vivo nell’episcopio dove ha vissuto per oltre dieci anni il vescovo don Tonino e vi garantisco che questo vescovo trascorreva più tempo in cappella che altrove, sia di giorno che di notte».

È andato a Sarajevo, oggi andrebbe in Siria?

«Credo di sì, perché don Tonino volava dove c’era un bisogno umano. Era l’uomo della fedeltà. Lui sentiva per gli altri il debito della carità e non si fermava finché questo debito non era saldato. Era l’uomo della speranza e oggi se ne ha bisogno più che mai».

Ha qualche aneddoto da raccontare?

«C’è una bellissima testimonianza di una vecchietta che si occupava del duomo che è qui a due passi. Lei accoglieva quattro o cinque volte a settimana don Tonino. Lui la invitava a chiuderlo dentro il duomo. Le diceva: “Apri la chiesa lasciami dentro e poi alle quattro vieni ad aprirmi”. E così dalle 12 alle 16, senza pranzare, si tratteneva in preghiera. E quando questa vecchietta gli chiedeva: “Ma lei non pranza?”, lui rispondeva: “Oggi sono a tavola con Gesù, con il Santissimo”. Sentire queste testimonianze per me è una gioia, un invito  a proseguire quello che lui ha iniziato. Per me è una cosa bellissima».

Lo ha conosciuto?

«Si, posso dire, senza esagerare, di essere stato anche un po’ amico. Sono di Altamura e nella mia parrocchia c’era una sua cugina diretta e loro erano un po’ il tramite di questa conoscenza. In più, due volte, nel 1986 e nel 1991, ho invitato don Tonino a tenere il precetto di Pasqua agli studenti. Lui ha subito accettato, anche se ero un semplice parroco. Pur di incontrare i giovani e di seminare la parola di Dio ovunque non si tirava indietro. Posso confidare che venivo al seminario una volta a settimana per tenere un corso di teologia spirituale. Il 17 marzo del 1993, era la vigilia del suo compleanno, andai a trovarlo. I vescovi mi avevano chiesto di fare da assistente spirituale al seminario, una cosa per me sproporzionata, e pensavo di chiedere a lui un parere. Appena ho bussato mi hanno invitato a concelebrare con lui nella stanza, lui dal letto. Sarebbe morto un mese dopo. Per me è stata una cosa indimenticabile. Naturalmente non gli ho chiesto più nulla. Mi ha regalato il libro che era uscito solo il giorno prima, Maria donna dei giorni nostri, con una dedica: “Mimmo lasciati amare da Maria, Molfetta 17 marzo”. E quando gli ho detto che ero venuto per il suo compleanno ha aggiustato da 17 a 18».

Qual è la cosa più bella che ha sentito dire su di lui?

«La definizione più bella, secondo me, è “l’Utopia diventata storia”. Quello che per gli altri sembrava utopico, irrealizzabile, don Tonino lo ha fatto: è stato vicino ai poveri, ha spogliato casa sua per accogliere gli poveri, ovunque era presente per portare un raggio di luce e un po’ di conforto. Ha vissuto, ai nostri, occhi poco tempo su questa terra, ma ciò che ha interrotto nel 1993 lo sta continuando adesso. Per lui parlano le pietre. Ovunque io vado, appena sentono Molfetta associano subito la città a don Tonino e questo significa che è un albero vivo».

Cosa si direbbero con Francesco?

«Si saluterebbero come due vecchi amici. Ci sono molte convergenze. Il punto che attira questi due personaggi è l’amore per Gesù, senza fronzoli, senza steccati, senza barriere. Sono uomini liberi. Per me il gesto che sta compiendo papa Francesco, in questa periferia, è un rilanciare le radici storiche e cristiane di questa bellissima terra di Puglia. Io immagino che don Tonino continuerebbe a esortare noi comunità civile ed ecclesiale a essere gli uni per gli altri, a farci gli uni per gli altri “ali di riserva”. A farci sostegno: ciò che manca agli altri devono poterlo trovare dentro di noi. Don Tonino, come papa Francesco, ci sprona a farci accoglienza, ascolto, remissione, comprensione».
 

Era un sognatore?

«Penso che la sua utopia non fosse un sogno, ma il mettere in circolo le potenzialità che sono in noi. Chi cadeva si sentiva attirato dal vortice del suo entusiasmo, chi si sentiva minus trovava posto a casa sua. Quando mi fermavo a pranzo in episcopio alla sua tavola c’era sempre un ospite d’onore, una personalità: era o qualche giovane disperato, o qualche esaurito, o qualche ex prete o qualcuno che stava per lasciare la moglie e lui con molta semplicità si metteva a servizio e queste persone se ne andavano rinfrancate».

Era anche criticato per questo.

«Quando, ironicamente, al suo vicario episcopale chiedevano cosa pensava del suo vescovo, il vicario diceva: “È un sant’uomo, ma esagera un po’”. Questa è un bellissima definizione perché se l’amore non esagera non è amore, l’amore, per sua natura esagera. Forse don Tonino ha trovato la verità di questa cosa vedendo un crocifisso che sta a san Bernardino: in cima c’era scritto “charitas sine modo”. Vale a dire amore smodato, senza misura, lui ha vissuto in pieno questo amore».

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