Per capire tutto, per farsi un’idea,
basta prendere la macchina e percorrere
l’area circumvesuviana
sopra Napoli: Carbonara di Nola,
Palma Campania, Poggiomarino,
San Giuseppe Vesuviano, Striano,
Terzigno. L’impatto è immediato. Uno
scenario quasi surreale, fatto di manichini
allineati lungo i marciapiedi per chilometri,
e, dietro, botteghe di abbigliamento,
vestiti ostentati e messi in mostra come
in un suk, occhi a mandorla che ti fissano
e ti invitano a fermarti in questi Comuni
tutti uguali, indistinti, senza confini:
case, palazzi, capannoni e negozi che
si inseguono senza sosta.
Per anni l’unica ricchezza qui è stato
il commercio e la produzione di vestiario.
Erano soprattutto le sartine a
domicilio, il lavoro a cottimo che si tramandava
dall’Ottocento, la ricchezza
della comunità.
Qui è stato ambientato
un capitolo del romanzo di Saviano Gomorra,
quello del sarto Pasquale («Quando
parlava di tessuti sembrava un profeta,
era capace di prevedere la durata della
vita di un pantalone, di una giacca, di
un vestito»). Pasquale decide di farsi camionista
dopo aver visto in televisione
un suo vestito indossato da Angelina Jolie.
Il suo posto lo prendono loro, le “locuste
silenziose del Wenzhou” giunte
dalla colonia di Prato. Hanno cominciato
ad arrivare a Terzigno all’inizio degli
anni ’90. Da allora non si sono mai fermati,
occupando case e botteghe a migliaia
e trasformando completamente
la zona, che ora è un pezzo di Cina alle
falde del Vesuvio con concerie, industrie
tessili e aziende di confezioni tutte
di marca orientale.
I cinesi del Vesuvio, li chiamano. Non
fanno storie sul prezzo quando comprano
case, garage, capannoni, laboratori artigianali
o negozi. Per molti campani sono
stati una vera manna. Se un monolocale
veniva affittato a 500 mila lire, loro dicevano
«noi dale milione» e l’affare si chiudeva
all’istante. In nero, naturalmente.
In poco tempo si sono mangiati come tarme
il tessuto delle microimprese locali,
lavorando giorno e notte a costi bassi, precisi
nella consegna, spesso senza diritti e
in condizioni igieniche spaventose (è dei
giorni scorsi il sequestro di quattro opifici
a San Giuseppe Vesuviano, uno con tanto
di inceneritore clandestino per lo smaltimento
dei rifiuti speciali).
Se gli italiani confezionavano duemila
gonne in due settimane, loro ci
mettono due giorni. Inarrivabili. Ai campani
non è rimasto che chiudere, alle sartine
non sono arrivati più i tessuti e i cartamodelli.
Poi, con il tempo, si sono evoluti.
In molti casi hanno cominciato a filtrare
anche prodotti contraffatti delle migliori
marche, nella terra delle contraffazioni.
Hanno imparato in fretta.