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venerdì 13 settembre 2024
 
Focsiv 2016
 

Nell’Africa di Marco «La vita è bellissima»

04/12/2016  Torinese, 43 anni, la metà passati tra Senegal, Mali e Burkina Faso con Lvia. È uno di quelli che fanno “mettere radici” alla cooperazione

«E comunque, ragazzi, la vita è bella. Anzi, bellissima». È mezzanotte inoltrata, davanti a una birra e sotto le stelle di una serata neanche troppo calda per il Burkina Faso. Ouagadougou, la capitale, che qui tutti chiamano Ouagà, dorme. E Marco Alban è in vena di bilanci, come accade talvolta davanti a una birra dopo la mezzanotte. Quel “comunque” si riferisce a quanto raccontava poco prima, ai tanti problemi e interrogativi che comporta fare il cooperante in un Paese povero dell’Africa occidentale, che negli ultimi quattro anni ha visto la fine di un regime guidato per 27 anni dallo stesso presidente, Blaise Compaoré; ha vissuto un tentato colpo di Stato; ha subìto un attentato – il primo nella storia del Paese – da parte di terroristi islamici, infiltratisi in Burkina dal Nord del Mali.

Il nostro bar è a pochi metri dall’albergo da dove sono sbucati i quattro assassini: in pochi minuti, il 15 gennaio scorso, hanno fatto una strage. Il giorno dopo, cristiani e musulmani, imam e preti erano tutti davanti a quell’hotel a posare candele e a dire che l’attentato non era contro gli occidentali, ma contro tutti i burkinabè.

«Questo c’entra con ciò che siamo a fare qui», commenta Marco. «Burkina Faso significa “Terra degli uomini integri”. Qui non abbiamo mai conosciuto l’intolleranza religiosa, nonostante la popolazione sia per il 60 per cento musulmana e per il 40 per cento cristiana. E non abbiamo mai avuto problemi di scontri etnici né di guerre civili».

Questo è il Paese di Thomas Sankara, il presidente “visionario” che già negli anni ’80 parlava di pari opportunità, di tutela ambientale e di lotta alla povertà. È lui che ha cambiato il nome da Alto Volta a Burkina Faso. Governò solo quattro anni, dal 1984 al 1987, poi fu assassinato. Qui tutti sono convinti che i mandanti fossero gli occidentali, contro i quali tuonava per denunciare il neocolonialismo che a lungo ha schiacciato nella povertà il Paese, e i killer gli uomini del suo amico, e poi successore, Compaoré. «Sankara è ancora venerato come un simbolo», aggiunge Marco. «E anche questo c’entra con ciò che facciamo qui».

Marco Alban è il Volontario dell’anno, nel Premio bandito dalla Focsiv (la Federazione delle realtà di volontariato di matrice cristiana). Nel 2016 il riconoscimento (che viene come sempre conferito in occasione della Giornata mondiale del volontariato, quest’anno il 3 dicembre) ha privilegiato i temi della Laudato sì di papa Francesco, cioè l’ambiente e la salvaguardia del Creato. Tutte questioni che sono per Marco Alban e il team della Lvia il pane quotidiano. Ma non solo. Il Premio, scegliendo in modo unanime Marco e l’Ong di Cuneo, ha voluto anche sottolineare un altro aspetto: occorrono tempi lunghi per creare sviluppo, occorre uno stile di cooperazione che mette radici e che impara a conoscere profondamente le realtà in cui opera, occorre uno stile di intervento che veda nei cosiddetti beneficiari non banalmente delle persone da aiutare ma soggetti e collaboratori con cui costruire futuro.

Famiglia Cristiana, insieme a Tv2000, è andata a vedere i progetti e a conoscere Marco e la squadra dell’Lvia. Mentre il fuoristrada attraversa un tratto di savana per condurci a Ziniaré – 40 km dalla capitale – dove l’Ong gestisce alcuni progetti, Marco racconta. La Lvia (che quest’anno compie 50 anni) opera in Burkina da 43, una delle presenze storiche dei cooperanti di Cuneo, il terzo Paese dopo il Kenya e il Senegal. Quarantatré anni è anche l’età di Marco, torinese, in Africa occidentale dal 1999: cinque anni in Senegal, quasi quattro in Mali, poi in Burkina Faso, dal 2007. Sempre per l’Ong di Cuneo. Quasi metà della sua vita, quindi, l’ha passata da cooperante. Oltre la metà da volontario, dato che prima di partire ha cominciato a lavorare nel Gruppo Abele di don Ciotti, quand’era neppure ventenne. «Ma in un certo senso, ho cominciato a fare il volontario a sei anni», aggiunge. «Durante l’ora di Religione don Giuseppe Riva, il fondatore della Cisv, ci faceva vedere le foto dei suoi viaggi in Burundi. Ho ancora stampata negli occhi un’immagine: poveri banchi di legno, una moltitudine di bambini, la classica auletta africana. Quella foto e tanti altri piccoli semi poi hanno dato frutto: a 18 anni ero già fermamente determinato a partire con il Servizio civile internazionale».

A Ziniaré, sotto un sole che brucia (siamo sui 30 gradi, nell’“inverno” del Burkina, per nove mesi all’anno le temperature diurne vanno dai 40 ai 50 gradi), vediamo la cooperativa agricola. Un bell’esempio della cooperazione che mette radici, perché è nata sull’onda lunga di un progetto della Lvia. «Una volta concluso», spiega Marcel Boudà, all’epoca uno dei formatori locali della Ong, «nel 2001 abbiamo deciso di riunirci in cooperativa. Siamo partiti in 350, oggi siamo 7 mila soci». E lui, Boudà, ne è il presidente. Viene prodotto sorgo, karkadè, niebè (un fagiolo locale molto nutritivo), ma negli ultimi dieci anni anche passata di pomodoro, di ottima qualità, che viene acquistata dai migliori ristoranti di Ouagadougou, lavorata da una cooperativa di donne. E ora si replica con la soia, sempre con il sostegno della Lvia. Per darci un esempio dei risultati ci fanno assaggiare dei fragranti panini di soia, appena sfornati.

«La nostra idea costante è che dobbiamo solo cercare di dare una risposta ai desideri e al sogno della gente per la quale siamo qui», spiega Marco. «Se un villaggio sogna di avere l’acqua lo devi aiutare ad avere l’acqua. Dobbiamo solo contribuire al loro percorso, ma resta il loro percorso. Ed è loro il sogno che cerchi di realizzare insieme».

«È stato così anche con il progetto di riciclo della plastica», continua. «Un giorno mi chiamò il sindaco di Ouagà e mi disse: “La mia città ha un cancro. Aiutami a curarla”. Si riferiva alla plastica buttata ovunque. Con quell’intervento abbiamo ridotto l’inquinamento, creato lavoro, innescato una filiera positiva che fabbrica prodotti di plastica riciclata. Dopo tre anni l’abbiamo riconsegnato al Comune, che ora lo porta avanti autonomamente».

L’ultima trasferta è a Koudougou, 100 km dalla capitale, dove l’Ong piemontese combatte la malnutrizione infantile, problema ricorrente in Burkina, specie dopo la carestia del 2012. «Anche in questo caso», spiega Alban, «non guardiamo solo all’emergenza dell’oggi, altrimenti si riproporrebbe all’infinito. Insieme a Medicus Mundi Italia portiamo avanti due interventi: uno di cura, l’altro di prevenzione. Curiamo i bambini in malnutrizione acuta, ma contemporaneamente è in corso il progetto “1.000 giorni”, che segue le mamme dal concepimento  fino ai due anni dei bambini, cioè tutto il periodo più critico e nel quale c’è la maggiore mortalità infantile».

Alla fine del viaggio glielo chiediamo: che senso dai, Marco, a questo premio? «Il riconoscimento è per tutta la squadra che lavora in Burkina. Gli espatriati Giorgia, Chiara, Cristina (Volontaria dell’anno 2008, ndr) e i locali Jean Paul, Clemence, Joachim, Casimir, Sylvie e tutti gli altri. Secondo, è importante dire che bisogna tornare a investire sulla motivazione delle persone. Non si può lavorare per una Ong senza una spinta profonda. Il futuro della cooperazione si gioca su questo, non sul numero di master dei cooperanti».

Marco spiega anche la sua, di scelta: «Ho sempre pensato che puoi fare il medico, il muratore, l’insegnante… ma se lo fai per gli altri, il lavoro ha un valore aggiunto. Io ho scelto il volontariato internazionale e l’Africa. Volevo fare una cosa semplice per gli altri». Perché è meglio farlo “per gli altri”? «Mettiamola così: è peggio per chi non fa la mia scelta. E infatti, qui, la vita è bellissima».

Foto di Stefano Dal Pozzolo/Contrasto

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