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sabato 22 marzo 2025
 
NOBEL 2019
 

Abiy Ahmed Ali, Il volto africano della pace

12/10/2019  Chi è il giovane (43 anni) Primo ministro etiope? Perché ha vinto quest'anno l'autorevole premio? Biografia ragionata di un Premier che ha fatto stringere al suo Paese la mano all'Eritrea dopo 20 anni di conflitto e ha fatto fare all'Etiopia tanti passi avanti verso una vera democratizzazione (molto è stato annunciato, qualcosa è stato fatto).

Il disegno che ritrae Abiy Ahmed Ali nel giorno del confermento del Nobel per la Pace 2019. In copertina, un primo piano del Premier etiope.
Il disegno che ritrae Abiy Ahmed Ali nel giorno del confermento del Nobel per la Pace 2019. In copertina, un primo piano del Premier etiope.

In poco più di un anno e mezzo s’è guadagnato il Premio Nobel per la Pace: il premier etiope Abiy Ahmed Ali, prima del febbraio 2018, era a malapena conosciuto all’interno dell’Etiopia. A sorpresa il partito che governa ininterrottamente dal 1991 (peraltro in modo autoritario e repressivo) lo scelse come nuovo Primo ministro per uscire da una grave crisi politica che durava dalla morte di Meles Zenawi – l’“uomo forte” di Addis Abeba che aveva guidato, giovanissimo, la guerra di liberazione dalla dittatura di Menghistu – morte avvenuta nell’agosto del 2012, e che il suo successore Hailemariam Desalegn non solo non aveva risolto, ma piuttosto peggiorato.

 

Così, nel febbraio dell’anno scorso, la coalizione di governo, cioè il Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope (EPRDF), aveva estratto dal cilindro il nome di Abiy, uno dei leader del Partito democratico oromo (uno dei gruppi politici della coalizione), insediatosi alla guida del Paese il 2 aprile successivo. Abiy, ovviamente di etnia oromo – la più numerosa in Etiopia, ma anche la più marginalizzata – aveva l’età giusta (43 anni), la formazione giusta (laureato all’Università di Addis Abeba, ma anche ex tenente colonnello dell’esercito con un passato nei servizi segreti etiopi), e la provenienza giusta: quell’etnia oromo che negli ultimi anni aveva generato l’opposizione, politica ma anche di piazza e armata, più vigorosa nel Paese.

Il Premier etiope con il Presidente dell'Eritrea Isaias Afeworki nel corso della prima visita di Afeworki ad Addis Abeba.
Il Premier etiope con il Presidente dell'Eritrea Isaias Afeworki nel corso della prima visita di Afeworki ad Addis Abeba.

Abyi ereditava un Paese con tanti problemi, un partito in crisi di consenso e logorato dalla lunga gestione del potere, un governo dalle relazioni internazionali a luci e ombre: se da un lato i rapporti con i Paesi europeo e con gli Stati Uniti erano buoni, dall’altro l’Etiopia si portava avanti il ventennale stato di guerra – sebbene non più guerreggiata da tempo – con l’Eritrea, i rapporti difficili con la Somalia e il pericolo di infiltrazioni terroristiche degli Shabab,  le tensioni con tutti i Paesi attraversati dal Nilo per la sua scelta di realizzare una grande diga che aveva messo in allarme tutti gli Stati che utilizzano l’acqua del grande fiume africano.

 

L’11 ottobre 2019 Abiy è stato insignito del Premio dei premi, il Nobel. La motivazione? Vengono riconosciuti “i suoi sforzi per raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per la sua decisiva iniziativa nel risolvere il conflitto con la confinante Eritrea”. Che potesse essere lui, l’uomo della Pace del 2019, lo si vociferava da qualche settimana: il giovane primo ministro, in effetti, ha fatto l’effetto di un tornado, nella immobile e arcigna compagine politica etiopica. Fin dai primi giorni del suo governo ha annunciato riforme che si ritenevano impensabili, oltre che impraticabili, nel Paese africano. E nei primi cento giorni al governo, i primi atti sono stati dirompenti: ha fatto uscire di prigione migliaia di prigionieri politici, ha liberalizzato la stampa e garantito la libertà d’espressione, ha legalizzato diversi gruppi di opposizione prima considerati alla stregua di terroristi. Soprattutto, ha avviato il disgelo nel ventennale conflitto con l’Eritrea ed è giunto alla firma formale della pace il 9 luglio 2018 con l’accordo di Gedda.

Non solo. Nei mesi seguenti ha sostituito i due personaggi più potenti e temuti del regime: il capo di Stato maggiore dell’esercito e quello dei servizi segreti; ha licenziato alcuni responsabili del sistema carcerario dopo che erano emerse pesanti accuse di torture da parte di Human Rights Watch; ha pubblicamente paragonato gli abusi delle forze di sicurezza a “terrorismo di Stato”.

 

Insomma, realmente un “uomo nuovo”, non solo per il suo Paese, ma per l’Africa intera (che in questa fase storica, purtroppo, non brilla per i suoi Capi di Stato).

 

Se un appunto può essere fatto, alla giuria di Oslo, è semmai quella di un Nobel forse prematuro. Molte delle innovazioni e delle riforme, finora, sono state più annunciate che messe in pratica: da quella dei servizi di sicurezza a quella dell’esercito, come pure la ristrutturazione della pubblica amministrazione. Il processo di riconciliazione nazionale annunciato dal Premier, inoltre, fatica a decollare. E va ricordato che non è ancora stato abolito lo stato di emergenza che l’Etiopia aveva decretato al momento delle dimissioni del predecessore di Abiy. Quanto ai rapporti con l’Eritrea, la pace è stata siglata, sono state aperte le relative ambasciate e i due Paesi hanno di nuovo relazioni amichevoli. Ma la normalizzazione dei rapporti ha subito un pesante stop per via della nuova chiusura delle frontiere da parte dell’Asmara, e alcuni punti dell’accordo siglato col Presidente eritreo Isaias Afeworki non sono stati messi in pratica (ad esempio la riconsegna da parte dell’Etiopia dell’area di territorio che fu all’origine della guerra).

 

Come dire, una buona scelta, il Nobel ad Abiy, ma più sulle buone intenzioni che sui risultati conseguiti.

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