È un’immagine che racconta un’altra immagine, in un gioco di rimandi e citazioni. Ed è il risultato di una tecnica esecutiva arditissima: non un dipinto, ma un’opera “fatta senza pennello”. Tanti sono gli elementi di interesse e di fascino nella tavola che l’intagliatore Ugo da Carpi realizzò per l’altare del Volto Santo, nella basilica di San Pietro, in occasione del Giubileo 1525. Grazie a una collaborazione, ormai consolidata, tra la Fondazione Torino Musei e la Fabbrica di San Pietro in Vaticano, l’opera giunge nel capoluogo piemontese, dove potrà essere ammirata, fino al 29 agosto, nella Corte Medievale di Palazzo Madama, in un’esposizione realizzata con il patrocinio della Diocesi di Torino.
Concepita per l’antica basilica di San Pietro (cioè la chiesa voluta da Papa Silvestro I e dall’imperatore Costantino, poi sostanzialmente demolita per far posto a quella, grandiosa, che conosciamo oggi) l’opera di Ugo da Carpi era collocata presso il ciborio dove si custodiva il Volto Santo della Veronica, una tra le più note reliquie della cristianità, che, soprattutto in epoca medievale, richiamava a Roma un flusso enorme di pellegrini da ogni parte d’Europa. Ed è esattamente a quella reliquia che la tavola fa riferimento: mostra infatti la Veronica mentre dispiega il velo con impressa l’immagine del volto di Cristo, tra gli apostoli Pietro e Paolo. Come dichiarato dallo stesso autore, il quale, orgogliosamente, scrive sulla tavola “fata senza penello”, la particolarità dell’opera è che non è stata realizzata con le ordinarie tecniche pittoriche, ma con un procedimento chiamato xilografia in chiaroscuro, che consiste nell’impressione sulla tavola lignea di una serie di matrici inchiostrate. «È una tecnica particolarissima, altamente sperimentale, per l’epoca quasi una follia» sottolinea Pietro Zander, curatore della mostra, nonché responsabile Conservazione e Restauro dei Beni Artistici della Fabbrica di San Pietro.
A questo punto viene da chiedersi come mai Papa Clemente VII (il pontefice regnante all’epoca del giubileo del 1525) abbia acconsentito all’uso di una tecnica così sperimentale (e, per molti aspetti, anche così rischiosa) per un’opera esposta in un luogo di primaria importanza e destinata, quindi, a essere contemplata da migliaia e migliaia di pellegrini. «Un’ipotesi» suggerisce Zander «è che anche la tecnica realizzativa si richiami, in qualche modo, alla devozione per il Volto Santo. Forse l’autore avrà spiegato al Pontefice che, così come l’immagine del Cristo si era miracolosamente impressa sul velo della Veronica, la sua pala d’altare sarebbe stata realizzata non con la pittura, ma “per impressione”, divenendo quasi un’immagine acheropita, cioè non fatta da mano d’uomo». Quel che è certo è che l’opera porta con sé cinquecento anni di devozione, tra vicende travagliate, un complesso procedimento di restauro e un accurato studio, che solo di recente ha consentito di fare piena luce sulla storia di un lavoro artistico e spirituale unico nel suo genere.
Il percorso espositivo di Palazzo Madama, curato da Giorgio Pulitani, guida il visitatore in un graduale avvicinamento all’opera: si parte dalla ricostruzione dell’antica basilica di San Pietro, per poi scoprire dettagliate notizie su Ugo da Carpi e sulla sua tecnica a matrici sovrapposte (sostanzialmente abbandonata dopo di lui). Del celebre intagliatore sono mostrati anche alcuni chiaroscuri provenienti dal Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi. E se, con l’andare dei secoli, i colori della pala d’altare si sono affievoliti (soprattutto l’indaco e il cinabro delle vesti degli apostoli), ecco, accanto all’originale, una riproduzione, risultato di un minuzioso lavoro di ricerca, che restituisce un’idea della brillantezza perduta. L’opera rende evidenti i legami tra Torino e Roma.
Già, perché, parlando di Volto Santo, è impossibile non ricordare che proprio nel capoluogo sabaudo, e a pochissima distanza da Palazzo Madama, è custodita un’altra reliquia di enorme interesse: la Santa Sindone. Infatti la mostra intesse un ideale dialogo fra le due immagini. Non a caso, l’opera di Ugo da Carpi è esposta proprio al di sotto di un secentesco affresco che raffigura l’ostensione della Sindone. «Due immagini» sottolinea il cardinale Mauro Gambetti, presidente della Fabbrica di San Pietro «che riassumono in modo mirabile un secolare dialogo di storia, fede e devozione e che costituiscono un invito alla preghiera e un forte richiamo alla basilica vaticana, luogo di accoglienza per tutte le genti della terra desiderose di giungere presso la tomba dell’Apostolo Pietro, primo Papa nella guida della Chiesa». «Due immagini» aggiunge il presidente della Fondazione Torino Musei, Maurizio Cibrario «che inevitabilmente riportano il nostro pensiero all’anno 33 dopo Cristo, alla salita al Calvario, alla Passione di Cristo fino alla morte di Croce e all’immenso atto d’amore compiuto per noi da Nostro Signore». Per ulteriori informazioni www.palazzomadamatorino.it