Quando negli anni '80 ha iniziato con il suo spray a colorare i muri di Milano «se arrivavano i carabinieri, al massimo mi chiedevano di disegnare la loro Gazzella». Altri tempi. Ora Kay One, nome d'arte di Marco Mantovani, è uno dei più rinomati writers italiani, le sue opere sono in mostra in importanti musei internazionali, ma a 41 anni non rinuncia alla sua vecchia passione. «La strada è un richiamo irresistibile, ma ora mi esprimo solo in spazi legali». Il punto centrale, nel commentare la condanna di due writers per associazione a delinquere è proprio questa: «Non entro nel merito della sentenza perché conosco poco i fatti. Ma una cosa la posso dire. Le nostre creazioni sono riconosciute come forme d'arte a livello mondiale eppure in Italia, da quando 25 anni fa ho iniziato io, non è cambiato nulla. Nei nostri confronti, si usa solo il bastone. Abbiamo scritto varie volte ai sindaci, Pisapia compreso, chiedendo un incontro per ottenere degli spazi in cui esercitare liberamente la nostra passione. Nessuno ci ha mai ricevuto».
Ma nella cultura writers non c'è insita la volontà di trasgredire e di agire nel buio?
«Senza dubbio. L'adrenalina di uscire di notte con la possibilità di essere scoperti non si potrà mai debellare. Ma se ci fossero più spazi disponibili, molti giovani writers li userebbero, evitando di procurare danni economici alle città. Anzi, dove ciò è stato possibile, il nostro lavoro ha reso più belli quei luoghi».
Può farci un esempio?
«Di recente, oltre 150 writers hanno svuotato le loro bombolette lungo tutto il muro che costeggia l'ippodromo fino allo stadio San Siro, con graffiti aventi come tema i cavalli e le corse. Gli abitanti del quartiere erano contenti e anche i ragazzi sono stati felici di mostrare alla luce del sole il loro valore».