Narrare di una giovane proclamata
beata nel 2010, morta a
soli 27 anni nel 1876. Una storia
lontana nel tempo e nello
spazio, che aleggia ancora sui
monti dell’Irpinia, a Montefusco,
mai dimenticata dalla sua gente.
Per Andrea Fazioli, 38 anni, giornalista,
professore e scrittore di gialli, è stata
una sfida, che si è concretizzata nel libro
La beata analfabeta. Teresa Manganiello,
la sapienza delle erbe, allegato al numero 34 di Famiglia Cristiana.
«Non avevo mai scritto un romanzo
di questo genere e quando mi chiesero
di scrivere di Teresa Manganiello,
per la collana “Vite esagerate”, immaginai
che si dovesse trattare di una figura straordinaria. Fino a quel momento
sapevo poco di beati e di santi,
nulla davvero di lei. Fui incuriosito».
Come si è avvicinato a questa
donna della fine dell’Ottocento?
«La prima cosa che mi lasciò sconcertato
fu come Teresa, giovane contadina
analfabeta, vissuta ai margini del
mondo tra valli sperdute, cieli cristallini e le sue erbe di campo, incapace di
lasciare qualsiasi scritto o testamento
religioso, in realtà fosse ancora straordinariamente
presente nella memoria
delle persone. Tra le luci e le ombre
che cercavo di svelare, lei dimostrava un’incredibile persistenza nel cuore di
chi l’aveva conosciuta attraverso i racconti
di padri e nonni»
È stato a Montefusco?
«Sì, per me era indispensabile capire
la sensibilità e l’anima di quei luoghi. Ho cercato di documentarmi,
ho parlato con le persone. Un aiuto
mi è venuto dalla scrittrice e amica
Antonietta Gnerre, che ha scritto la
postfazione del libro e che per ragioni
familiari conosce bene la santa e ne è
devota. Non è stato difficile lasciarsi
impregnare dalla bellezza di quei
luoghi, che in un certo modo assomigliano
alla Svizzera dove in questo
momento mi trovo e dove amo isolarmi
per scrivere. Dalla mia scrivania
vedo uno scorcio di montagne, proprio
come lo vedeva Teresa mentre lavorava
nei campi da bambina, per aiutare i
suoi genitori».
Teresa amava osservare la natura:
era una mistica?
«Osservava passare voli di “uccelli
avvolti nella luce d’oro”, come è scritto
nel libro. La sua era una sensibilità diversa,
guardava e sentiva, sentiva anche
ciò che non vedeva. Avvertiva tra
quelle colline la voce dell’ignoto che
la chiamava. In realtà era anche una
donna pratica, non si chiuse mai in
convento, perché la sua famiglia aveva
bisogno di lei come contadina. E così
scelse di aiutare gli altri imparando a
usare le erbe. Lei, un’analfabeta, era sapiente
più di tanti medici ed erboristi
dell’epoca. Trasformava le erbe in cura.
Il suo misticismo era azione».
Da laico, è riuscito a capirla?
«Noi uomini di oggi abbiamo perso
la capacità di leggere quello che ci
circonda in modo diverso. Intravvediamo,
a volte, ma non sempre sappiamo
cogliere il vero senso della natura, i
segnali che ci arrivano dall’esterno. Un
dialogo incessante che arriva anche a noi, ma che ci sfugge a causa della fretta,
del nostro modo di vivere. Corriamo
senza una prospettiva».
Il protagonista del libro rappresenta
l’uomo moderno, che non sa
scegliersi le prospettive?
«Un buon romanzo nasce spesso
dalla rappresentazione di un incontro-
scontro. Per questo ho voluto che
il protagonista del libro, Matteo Maggi,
fosse un personaggio in assoluto
contrasto con la santa. Lui scrittore
spiantato, colto uomo del Nord Italia,
dalla fede inconsistente e concentrato
solo sui suoi problemi personali,
quando cerca di avvicinarsi all’essenza
della santa, in Irpinia, si perde. E
proprio mentre cerca di ricostruire la
storia di una mistica, finisce con l’innamorarsi
di chi gli ha commissionato
la biografia e lo sta pagando per
scriverla: Elena Di Renzo, una donna
affascinante, ma sposata».
Il bacio tra i due, che dà il titolo a
un capitolo, è una deagrazione in un
mondo di silenzi?
«È il contrasto tra una persona
incapace di comprendere gli autentici
valori e la presenza sommessa di
Teresa, che riecheggia in quei luoghi,
discretamente. Un esempio di vita
che vive ancora oggi, seppure lei sia
una donna ormai poco nota ai più.
Vive dei silenzi, di quelle parole mai
scritte, che misteriosamente si sono
propagate e hanno avuto un’eco nel
mondo attraverso l’opera della congregazione
religiosa che lei ha fondato,
le Suore francescane immacolatine,
che ho potuto incontrare durante
la stesura del mio libro».