Il problema vero degli immigrati è la loro
incapacità a modificare la situazione nel
Paese d’origine, tant'è che la maggioranza
di costoro sono “migranti economici”
e non politici, come dimostrano i pochi
casi di concessione della qualifica di “rifugiato”.
Infatti, costoro pensano, furbescamente,
di poter godere dei sacrifici dei nostri
nonni, dei nostri genitori e ora anche nostri.
Basta guardare alle sale di attesa di una qualsiasi
struttura per analisi mediche, alla scuola
per i loro figli, agli alberghi dove vengono alloggiati,
ai contributi economici che gli vengono
dati.
"Siete buonisti! Aiutiamoli nel loro Paese!"
Non dimentichiamo che la maggioranza
dei “migranti” proviene da terre ricche di
materie prime; l’aiuto che l’Europa dovrebbe
fornirgli va finalizzato a costruire nel loro
Paese una nazione ricca e democratica.
Tutti i “buonisti” che hanno a cuore questa
situazione dovrebbero sostituire la parola
“migranti” con “disoccupati”, “esodati”, per
non dire dei milioni di nostri concittadini che
sono alla fame o al limite della sopravvivenza,
o di chi vive nei box, sotto i ponti, nelle auto, e
di chi si suicida per disperazione... Chissà perché,
oggi, tutti sono attenti ai problemi degli
stranieri e poco, invece, si interessano dei nostri
connazionali in difficoltà.
"Solidarietà: prima per gli italiani!"
La solidarietà,
che non è assistenza, non deve essere solo
per i “migranti”, ma va rivolta innanzitutto
ai nostri connazionali, se vogliamo costruire
una società più giusta. Gli aiuti che diamo agli
immigrati sono risorse che sottraiamo alle
generazioni future e vanno ad aumentare il
debito pubblico, già molto alto.
I politici non
sanno guardare lontano, si preoccupano solo
di salvaguardare la propria poltrona.
Io credo che “integrazione” voglia dire
accettare le condizioni di vita del Paese nel
quale si decide di vivere, adattandosi alle sue
tradizioni. Senza pretendere che lo Stato modi
chi leggi e provvedimenti in funzione dei
nuovi arrivati, delle loro esigenze e convinzioni.
Altrimenti si corre il rischio che scompaiano
le nostre civiltà. Se uno straniero vuol
venire in Italia deve prima chiederlo e poi
accettare le nostre condizioni di vita per potersi
integrare, altrimenti resti a casa sua. Io
non voglio una futura società dove vi sia una
componente rilevante di persone attaccate ai
loro convincimenti e lontane dal modo di vivere
“occidentale”. Voglio continuare a vivere in questa società e contribuire a migliorarla,
ma mantenendo l’ispirazione cristiana. Sono
aperto alla collaborazione e all’aiuto verso
chiunque, ma non voglio essere sopraffatto
da altre culture o religioni. L’Italia è il nostro
Paese, e tale deve rimanere.
ADOLFO
NON BASTA ACCOGLIERLI, VANNO ANCHE INTEGRATI
Risponde don Antonio Sciortino
Nessuna sopraffazione, caro Adolfo, da
parte di chi arriva sfidando la morte in
cerca di una speranza di futuro. È solo
dell’altro giorno l’ennesima notizia
di una nuova strage nel Mediterraneo.
Al largo delle coste della Libia
due barconi sono naufragati, causando duecentocinquanta
morti in mare, tra cui diverse donne e
bambini piccoli. Soltanto ventinove i sopravvissuti
giunti a Lampedusa, testimoni di una tragica
storia dell’orrore. Le barche erano fatiscenti e il
mare non era nelle migliori condizioni per navigare.
Eppure, sono stati costretti a imbarcarsi
e partire ugualmente. Per convincerli a salire su
quelle carrette del mare, i trafficanti d’uomini
hanno sparato e ucciso uno di loro.
Come possiamo
considerare invasori questi poveri immigrati
che hanno subìto violenze di ogni tipo? Non partono
per venire a colonizzarci, ma per sopravvivere.
Sarebbe più civile avviare “corridoi umanitari”
per evitare che si ripetano simili tragedie.
Da Mattarella a papa Francesco: accoglienza non vuol dire buonismo
La crisi dei migranti, ha detto il presidente Mattarella, ormai si può definire come «l’emergenza
umanitaria di questo inizio di secolo».
Un
fenomeno «le cui dimensioni forse non sono state
ancora comprese appieno». Anzi, c’è pure chi ha
speculato su quanto papa Francesco ha detto
sugli immigrati di ritorno dal viaggio in Svezia,
quasi a voler ridimensionare la forza e l’urgenza
del suo messaggio e del suo appello.
Papa Francesco non ha cambiato rotta. Ha
semplicemente ribadito che l’accoglienza è un
dovere, ma va fatta bene; e che la paura è cattiva
consigliera, mentre la prudenza è una virtù.
«Accoglienza
non vuol dire buonismo, ma fare le cose
seriamente, promuovendo sempre la dignità umana
della persona accolta», gli ha fatto eco il direttore
della Caritas ambrosiana Luciano Gualzetti.
«Fare bene l’accoglienza signica affrontare
l’emergenza e andare oltre l’emergenza con risposte
di accoglienza orientate all’integrazione».
L'esempio della Svezia: un Europa che accoglie è possibile
Il
modello è la Svezia con le sue politiche di integrazione
che prevedono l’accesso al lavoro e a una casa,
oltre all’insegnamento della lingua e l’inserimento
civile e culturale. Accogliere non è ghettizzare.
Chi si apre ad altre culture, piuttosto che alzare
muri, ha solo da guadagnarci. Questa è sempre stata
la storia dell’Europa, che «si è formata con una
continua integrazione di culture», come ha ricordato
papa Francesco. L’Europa non è chiamata
a perdere la propria identità, ma ad arricchirla
nello scambio con altre tradizioni e culture.