Cari amici lettori, come spesso in altre occasioni, papa Francesco tocca temi che sono molto legati al nostro vissuto quotidiano, aiutandoci così a concretizzare la spiritualità cristiana nella vita di tutti i giorni. Nell’udienza di mercoledì 5 ottobre, continuando a spiegare il discernimento, si è soffermato sulla conoscenza di se stessi. Una spiritualità che prescinda dalla nostra umanità, infatti, rischia di girare a vuoto: abbiamo bisogno di conoscere Dio – che per noi vuol dire guardare a Cristo – ma anche di conoscere noi stessi, cioè «la nostra dimensione umana, cognitiva e affettiva», ha precisato il Pontefice.
Che vuol dire: sapere cosa vogliamo, «conoscerci per come siamo veramente», la nostra personalità, i nostri desideri più profondi, insomma «acquistare consapevolezza sul nostro modo di fare, sui sentimenti che ci abitano, sui pensieri ricorrenti che ci condizionano, e spesso a nostra insaputa». «Conoscere sé stessi», ha spiegato, «non è difficile, ma è faticoso: implica un paziente lavoro di scavo interiore».
Lasciar penetrare la luce in queste zone recondite è parte del nostro processo di redenzione e liberazione. Ma perché è importante questo lavorìo interiore descritto dal Papa? Si tratta di «disattivare il nostro pilota automatico», ha detto con un’immagine efficace, di conoscere le “password” della nostra vita spirituale, per camminare verso una maggiore libertà interiore, e orientarci con libertà e consapevolezza, in mezzo alle tante sollecitazioni, occasioni e tentazioni in cui ci imbattiamo. Insomma, la conoscenza di sé decide della qualità della nostra vita spirituale, perché individuando le nostre mozioni interiori, ciò che ci spinge verso una cosa o un’altra, possiamo «riconoscere ciò che è davvero importante per noi». Per arrivare concretamente a questo, il Papa ci invita a fare l’esame di coscienza, rileggendo con calma la giornata trascorsa: «Cosa è successo nel mio cuore in questa giornata?», imparando a «notare nelle valutazioni e nelle scelte ciò a cui diamo più importanza, cosa cerchiamo e perché, e cosa alla fine abbiamo trovato. Soprattutto imparando a riconoscere che cosa sazia il mio cuore».
Il Papa insiste su un verbo: vedere. «Vedere: cosa è passato oggi? Cosa è successo? Cosa mi ha fatto reagire? Cosa mi ha fatto triste? Cosa mi ha fatto gioioso? Cosa è stato brutto e se ho fatto del male agli altri. Si tratta di vedere il percorso dei sentimenti, delle attrazioni nel mio cuore durante la giornata». Non è un esercizio di psicologismo, ma è imparare a leggere i moti del proprio cuore, le nostre pulsioni e motivazioni, le nostre reazioni, perché possa trovare un terreno fecondo la luce che viene da Cristo e dalla sua parola. Lo scopo di questo lavoro interiore non è individuare eventuali fallimenti o suscitare sensi di colpa. Piuttosto, si tratta di capire che «la preghiera e la conoscenza di sé stessi consentono di crescere nella libertà».
Vivendo così, senza “pilota automatico”, cioè non più comandati da un’interiorità che non conosciamo, diventiamo protagonisti, che si orientano al bene consapevolmente e in libertà. E questo è più che mai necessario in questi tempi in cui la fede cristiana non è un dato “acquisito” per tradizione e in cui sono tante le sollecitazioni che ci sballottano nelle direzioni più disparate.