Fa il medico al cento per cento, ma
la sua vita è ormai spesa tutta nella
ricerca clinica. L’80 per cento della
sua attività è fatta di sperimentazioni
e di approccio totale al malato,
ma con agganci anche alla ricerca di
base. Parliamo di Sandro Pignata, 51 anni,
che ha dedicato gli ultimi 15 anni della
professione a creare il gruppo collaborativo
“Mito”, che oggi conta su 100 centri
attivi in Italia, una delle maggiori
équipe al mondo in questo campo.
Pignata è direttore del Dipartimento
uro-ginecologico all’Istituto tumori di
Napoli, Fondazione Pascale. Si occupa, in
particolare, di selezionare la migliore
chemioterapia del carcinoma ovarico basandosi
su fattori biologici del tumore,
attualmente in studio nel progetto Airc.
Spiega: «Questo progetto, finanziato
dall’Associazione italiana per la ricerca
sul cancro, prevede
una estesa collaborazione
tra sette laboratori
nazionali.
E nel mio centro
due giovani ricercatori
sono supportati
proprio grazie ai fondi raccolti dall’Airc».
- Alla Fondazione Pascale voi lavorate anche direttamente sui malati?
«Assolutamente sì. Il paziente accetta,
dopo essere stato informato, di partecipare
a una sperimentazione clinica su
nuovi farmaci o modalità diverse di
somministrazione di vecchie terapie».
- Quali sono esattamente le vostre
ricerche supportate dall’Airc?
«Io mi occupo di tumori ginecologici,
di carcinomi ovarici. Sono patologie
dalle quali oggi si guarisce nella metà
dei casi. Nell’altro 50 per cento non si
guarisce, ma si è riusciti a prolungare la
vita di queste pazienti grazie proprio alla
disponibilità di farmaci sempre nuovi.
In questi anni abbiamo cercato di
trovare le giuste combinazioni di farmaci,
di migliorare quelli esistenti per ampliare
il loro utilizzo. Non solo: nell’ultimo
periodo abbiamo anche affiancato
alla chemioterapia classica dei farmaci biologici che sono più selettivi nei confronti
del tumore».
- Dunque, il carcinoma ovarico oggi
è ancora un tumore “cattivo”?
«Purtroppo sì, con un mortalità ancora
elevata. Colpisce a tutte le età, ma è più
aggressivo intorno ai 60-65 anni. Ed è una
patologia che nel tempo si sta spostando
verso l’età avanzata. Ma quando colpisce
le donne giovani, queste perdono la capacità
di procreare. Come ricercatori siamo
dunque impegnati a non mollare mai, a
fare di queste sperimentazioni anche una
battaglia per la vita che deve nascere. E
tutto questo grazie all’Airc»