All’età di 32 anni è responsabile di un’impresa sociale che dà lavoro a 150 persone, fondata da lei stessa, fresca di laurea, nel 2014. Sposata con Daniele, ha due figlie, Maddalena e Maria Chiara, quest’ultima di due mesi. Non temo di esagerare nel dire che Anna Fiscale - veronese, quel che si dice “un viso acqua e sapone” - è una che non si accontenta e punta a raggiungere sempre un “quid” in più. Proprio Quid è il nome della sua impresa sociale, leader nel settore della moda etica, che oggi rappresenta un punto di riferimento per tante persone con vissuti di fragilità e un segno concreto di “economia alternativa”.
Una storia di successo. Che però il Covid ha rischiato di far affondare, no?
«Un anno fa, allo scoppio della pandemia, ci siamo trovati di fronte alla possiblità di dover di chiudere i nostri punti vendita, che sono dieci in sei città. Partendo dalla nostra ispirazione-chiave, per cui “i limiti sono punti di partenza”, abbiamo cercato di trasformare in opportunità un’oggettiva diffcoltà. Ci siamo buttati sull’ideazione di mascherine anti-Covid, lavorando giorno e notte, arrivando a ottenere la certificazione in breve tempo. Siamo riusciti così non solo a evitare la crisi, ma persino a incrementare del 15%, il fatturato sul 2019 e, senza mettere nessuno in cassa integrazione, abbiamo fatto 23 nuove assunzioni».
Perché Quid è una realtà economica per molti aspetti unica?
«La nostra azienda si basa sulla lavorazione di tessuti particolari, eccedenze di ottima qualità che possono aver piccoli difetti. Con essi realizziamo prodotti funzionali, esteticamente belli, venduti a un prezzo equo. Oggi Quid dà lavoro a 150 dipendenti, soci della cooperativa, appartenenti a 16 nazionalità diverse; l’85% di essi sono donne, il 70% vengono da situazioni di fragilità. Una parte lavora da noi grazie all’articolo 14 della legge Biagi: prevede che un’azienda possa “delegare” a un’impresa sociale una parte del suo personale con invalidità (fino al 30%), a fronte di una commessa che copra i costi di assunzione di queste persone, aggiungendo una piccola marginalità. Questo ci permette di poter contare su commesse continuative e di collaborare con grandi aziende, tra cui NaturaSì, Just e Unilever. Nel caso di Calzedonia, ad esempio, abbiamo 17 persone che vengono da quell’azienda».
Un modello di economia che mette insieme profitto e solidarietà. È quello di cui si è discusso anche a “The Economy of Francesco” nel novembre scorso. Lei che ha partecipato a questo grande incontro voluto dal Papa dei giovani economisti da tutto il mondo, che impressioni ne ha ricavato?
«Purtroppo, per via del Covid, ci siamo visti on line; se l’avessimo fatto in presenza sarebbe stato un incontro rivoluzionario. In ogni caso, la mia percezione è stata molto positiva rispetto ai giovani con cui ho interagito: c’è tantissima voglia di fare e di cambiare, in giro! Sia a livello locale che globale ho incontrato molte storie interessanti: da chi ha avviato start up a vocazione sociale a chi opera come consulente per aziende sul versante della sostenibilità. Il mio gruppo di lavoro si è concentrato, in particolare, sul rapporto tra donne e lavoro, un tema molto attuale».
Lei ne sa qualcosa, visto che è mamma e imprenditrice: cosa le sta insegnando questa doppia esperienza?
«Subito ti vien da pensare “non ce la farò mai”, poi invece le energie si moltiplicano. Per me fondamentale è la flessibilità e la possibilità di lavorare per obiettivi, anziché con un orario fisso. Credo che si possano esplorare strumenti nuovi per dare alle mamme l’opportunità di lavorare e, insieme, di gestire la famiglia. Nel caso di Quid l’orario di lavoro (8.30-16.30) è a misura di mamma. In generale, credo occorra cambiare lo sguardo e non incasellare in un ruolo le donne e gli uomini in un altro. È ovvio che la disponibilità di tempo di una donna con figli è diversa da quella di un uomo o di una donna senza figli; eppure proprio la vicenda Coronavirus ci ha insegnato che si possono attuare modalità diverse di organizzare il lavoro. Naturalmente in una famiglia occorre che i carichi di lavoro siano gestiti insieme; sotto questo profilo mi ritengo fortunata perché mio marito, libero professionista, riesce a dare un apporto importante».
Lei viene da una famiglia cattolica. Cos’altro ha contato nella sua formazione?
«Ho ricevuto molto dal percorso scout (il mio gruppo era il Verona 20), specie in ordine al servizio e alla crescita di una fede semplice, alimentata dal contatto con il Creato e dalla gratitudine per i doni di Dio. Sono sempre stata molto attiva nel volontariato: dai compiti con i ragazzini stranieri alle uscite notturne con l’Associazione Papa Giovanni XXIII per incontrare le ragazze vittime della tratta, alla partecipazione alle attività della Ronda della carità, associazione veronese che distribuisce di notte pasti ai senza fissa dimora».
Questo stile ha impattato anche sui suoi studi?
«Sì. Ho scelto Economia con il desiderio di mettere al centro la persona e di privilegiare modelli che valorizzassero la donna e non fossero legati solo alla massimizzazione del profitto. Durante il percorso di studi ho vissuto due esperienze con altrettante Ong, in Paesi extraeuropei. La prima volta ho lavorato per 3 mesi in Andhra Pradesh con “Assist India”, un’Ong locale dedita al micro-credito; avevo 19 anni, studiavo a Londra in Erasmus. La seconda esperienza, invece, s’è svolta ad Haiti, dove ho trascorso 4 mesi con la ong Coopi nel contesto post-terremoto; la mia tesi di laurea si è concentrata proprio sul coordinamento degli aiuti umanitari in quel Paese».
Nel cammino di fede chi ha avuto un ruolo speciale?
«Negli anni dell’università mi ero allontanata dalla fede. Poco dopo la laurea sono stata invitata da amici a partecipare a un corso vocazionale ad Assisi. È stato per me una grande benedizione per capire i miei desideri e orientare il mio futuro, cominciando da quel che poi sarebbe diventata Quid. Sono molto grata a quanti ho incontrato in quel periodo; con alcuni siamo tuttora in contatto. Un frate e una suora hanno accompagnato anche il nostro cammino di fidanzamento: la fede è stata fondamentale nella nostra relazione».
E oggi?
«Il nostro cammino di fede fa riferimento soprattutto a un gruppo di famiglie di amici, con cui condividiamo gioie e fatiche quotidiane, e all’itinerario dell’Equipe Notre Dame, un gruppo di spiritualità coniugale che ci aiuta a prenderci del tempo per noi e a metterci davanti a Dio come coppia».
C’è una pagina di Vangelo che predilige?
«L’emorroissa e la samaritana sono due figure del Vangelo in cui mi identifico: anche la mia storia è stata caratterizzata dal continuare a cercare una felicità fuori di me, fino ad accorgermi che il segreto consiste nel riconnettersi, grazie all’incontro col Signore, con i desideri più profondi che ognuno porta in cuore».
Ha un “luogo del cuore” dove più si sente vicina a Dio?
«Io e mio marito siamo molto legati alla Porziuncola di santa Maria degli Angeli. Qui a Verona un luogo per noi speciale è il santuario della Madonna di Lourdes: domina la città e da lassù il panorama è incredibile».