«Aver imposto col decreto 200/2012 del ministero dell’Economia e delle Finanze di far pagare l’Imu alle scuole
paritarie senza finalità di lucro è un atto rozzamente prevaricatorio»:
lo scrive la Federazione istituti di attività educative (Fidae) in un
co«municato dal titolo «Una norma prevaricatrice». Nel testo si ricorsa
che queste scuole «non solo sono pienamente legittime e legittimate ad
esercitare la loro attività di istruzione e formazione, non solo fanno
parte integrante e costitutiva alla pari di quelle statali dell’unico
sistema scolastico nazionale, non solo svolgono una funzione pubblica e
di interesse pubblico, ma garantiscono anche, e non è una cosa
certamente secondaria in uno Stato che si voglia definire democratico,
pluralista e moderno, ai genitori che la preferiscono di rendere
effettivo il loro fondamentale diritto umano di scegliere liberamente la
scuola più conforme ai propri convincimenti».
Il testo prosegue notando
che «questo decreto diventa ancor più paradossale alla luce di una
Risoluzione del Parlamento europeo approvata appena il 4 ottobre 2012
con la quale si afferma la libertà di scelta educativa delle famiglie
come diritto inviolabile, ma anche l’obbligatorietà degli Stati membri
dell’Unione di promuovere e sostenere finanziariamente le scuole
paritarie che quel diritto delle famiglie concorrono a garantire alla
pari di quelle statali».
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Sparare sulla scuola “privata” cattolica, o meglio “paritaria”, è diventato sport nazionale. Anche il Governo prova a impallinarla con l’Imu. Non c’è corteo che non la prenda di mira con slogan sulla presunta ingiustizia: tagli alla scuola pubblica, finanziamenti a quella paritaria. Pura falsità.
Così come è un’assurda guerra contrapporre la scuola statale a quella paritaria: entrambe svolgono un servizio pubblico. Come prevede la Costituzione. Ma anche la legge e il buon senso. Per non dire della convenienza per lo Stato, sgravato da rilevanti oneri. Gli smemorati parlamentari, carenti in sintassi e grammatica (vedi intervento del leghista Isidori alla Camera), ignorano che loro stessi hanno stabilito che «il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali» (Legge n. 62 del 10 marzo 2000).
Oggi più che mai, e non solo nella scuola, abbiamo bisogno di alleanze. Non di guerre. O di chi soffia sul fuoco delle ideologie.Le scuole cattoliche sono in seria difficoltà. Spesso, stanno in piedi grazie alle diocesi e agli istituti religiosi che si accollano costi di gestione e deficit, ogni anno sempre più in rosso. Ma la Chiesa non chiede privilegi per sé stessa. Il cardinale Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, ha segnalato come urgente «quello che lo Stato sarebbe giusto riconoscesse non tanto agli istituti scolastici, quanto alle famiglie, che hanno il diritto di scegliere per i propri figli l’istruzione che ritengono più idonea».
Diritto garantito dalla stessa Carta costituzionale (articoli 30 e 33). Anche per rimuovere gli ostacoli che potrebbero limitarne l’esercizio ai cittadini. Specie quelli con minori possibilità economiche. Ma c’è un luogo comune che va smontato. Lo Stato non è certo “sprecone” con le scuole paritarie. Quest’anno garantisce 233 milioni di contributi. Circa 300 in meno di quanti ne assicurava fino al 2009. Ancora troppi? Senz’altro sono meno dei 350 milioni di euro che “sperpera” per la gestione del parco di auto blu a disposizione della Pubblica amministrazione. O del miliardo e 800 milioni che gli enti pubblici spendono per foraggiare un esercito di 250 mila consulenti. O dei 300 milioni di euro buttati al vento per il “pontefantasma” di Messina. Per non dire dei costosissimi (e inutili) caccia F-35.
Se le scuole paritarie cattoliche dovessero chiudere, lo Stato sarebbe costretto ad accollarsi 750 mila alunni, decine di migliaia di docenti e personale scolastico, per un costo di 6 miliardi e 200 milioni di euro. Ma anche i Comuni, già alla canna del gas, se chiudessero le scuole dell’infanzia paritarie, frequentate da 600 mila bambini, non saprebbero come coprire la spesa. Anomalia tutta italiana. Si è perso di vista il “bene comune”. La scuola paritaria non è “di parte”. Ma “fa parte” del sistema scolastico nazionale, che dovrebbe stare più a cuore al Paese.
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