Nell'Afghanistan in preda alla disperazione, alla miseria e alla violenza, ora regna il terrore. Ma il terrore non affligge soltanto le migliaia di afgani che in questo momento cercano disperatamente di scappare dal Paese con ogni mezzo per sfuggire alla barbarie del regime talebano. Il terrore si è insidiato anche nel cuore dei 2,7 milioni di rifugiati afgani dispersi per il mondo secondo i dati dell’UNHCR (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Abdul (nome di fantasia) ci racconta la disperazione di queste ore dei rifugiati afghani, motivata dalla conoscenza dell’orrore, della violenza di decenni di guerre e di violazioni di ogni possibile diritto umano.La sua famiglia è rimasta a Kabul.
“Sono nato nella provincia di Laghman, sulle pendici delle montagne innevate del nordest dell’Afghanistan, nel 1985. Nel mio Paese avevo studiato fino alla conclusione della licenza superiore e ho lavorato per tre anni nella base statunitense di Kunar, per la sicurezza dell’esercito nord americano in quella zona fino al 2009, quando ho subito tantissime minacce e anche violenza, motivo per il quale ho dovuto lasciare il mio paese per compiere un viaggio lungo 5 anni prima di poter arrivare in Italia. Le forze statunitensi avevano lasciato la base di Kunar, abbandonandola nel cuore della notte e questa è stata presa dai talebani nel 2010, pochi mesi dopo la mia fuga dall’Afghanistan, alla fine del 2009. Era una base molto importante per il contrasto al terrorismo, in una zona strategica come quella di Marawori. Così sono riuscito a salvarmi la vita fuggendo dal terrore, che tuttavia, a noi afghani non ci lascia mai in pace”, ci racconta con tristezza il rifugiato".
L'angoscia per la sorte del suo Paese e del suo popolo è come un incubo notturno dal quale i profughi afgani non riescono mai a risvegliarsi. L’incubo di chi è rimasto nella propria terra e quello di chi l’ha lasciata per sopravvivenza, ma che sa quel può accadere alla sua famiglia, e sopratutto alle donne, alle ragazze e alle bambine del Paese, date in sposa ai talebani. “Il mio pensiero disperato va alle mie tre sorelle, tutte ancora minorenni; tutte e tre andavano a scuola. Da qui dall’Italia, dove vivo e lavoro come operatore in una cooperativa sociale, finanziavo il loro studio e la vita di tutta la mia famiglia. Mio padre aveva un negozio che fu distrutto dai talebani e non lavora più. Appena appresa la notizia della presa del potere da parte dei talebani e del loro arrivo a Kabul, ho chiamato la mia famiglia che vive proprio in quella città e i miei genitori mi hanno raccontato quel che sta accadendo in questo momento cercando di rassicurarmi che loro non escono più di casa. Le mie sorelle, per ora, sono al sicuro dentro le mura domestiche, ma non si sa fino a quando. Mi hanno raccontato del frastuono, delle grida e dei rumori di spari nelle strade. Non hanno solo paura, hanno terrore. Ora che le banche sono state chiuse e i soldi non si possono più recuperare dal conto corrente, mi preoccupo ancora di più per loro, per come riusciranno a mangiare e a vivere senza il mio sostegno economico".
Abdul vuole lanciare un appello al Governo italiano per poter portare via dall’Afghanistan almeno le sue tre sorelle. Purtroppo la legge italiana - anche se il Governo nelle ultime ore ha lanciato segnali rassicuranti - in materia di immigrazione non prevede il ricongiungimento di stranieri con i propri fratelli o sorelle, neppure se lo straniero è un rifugiato. Per questo motivo molti familiari di rifugiati intraprendono il percorso migratorio affidandosi ai trafficanti e lui stesso ha vissuto questo dramma che non vuole che si ripeta con le sorelline.