Il giorno felice della nascita di Jacob.
Ben e Priya sono una coppia di origine indiana, ma entrambi sono nati e cresciuti nella East Coast degli Stati Uniti. Si conoscono fin da quando erano bambini; dopo l’università, si sono fidanzati e poi sposati. Lei è pediatra, lui uomo d’affari.
La nascita di loro figlio Jacob, il 1 maggio del 2010, è una grande gioia, ma purtroppo dura poco. Il bambino, infatti, ha alcuni valori del sangue sballati: i suoi globuli bianchi molto bassi insospettiscono i medici, che cercano di capire se si tratti di un problema momentaneo o di qualcosa di più grave. A soli quattro mesi, dopo vari esami, gli viene diagnosticata una rara malattia genetica del sistema immunitario, la sindrome di Wiskott-Aldrich. La mamma, nonostante l’esperienza medica, non ha mai preso in considerazione una malattia genetica, né sapeva di essere portatrice sana di questa rara immunodeficienza, che si trasmette con modalità legata all’X: significa cioè che ogni donna portatrice del difetto genetico ha una possibilità su due di avere un figlio maschio malato a ogni gravidanza.
Jacob entra ed esce dall’ospedale, spesso deve essere intubato e le sue condizioni peggiorano a vista d’occhio. «Scoprire che nostro figlio Jacob era affetto da una rara immunodeficienza potenzialmente letale è stato devastante. Jacob ha vissuto in totale isolamento per i suoi primi 18-20 mesi di vita. Uscivamo soltanto per le visite mediche. Le uniche persone che vedeva erano i suoi nonni e i suoi genitori – persino i suoi cugini poteva vederli soltanto se erano in perfetta salute. Quando ha iniziato a camminare dovevamo fargli indossare un caschetto per proteggerlo da eventuali ferite alla testa», spiega la mamma.
I medici propongono ai genitori di sottoporre Jacob all’unico trattamento potenzialmente curativo, il trapianto di midollo osseo: purtroppo, però, non si trova un donatore compatibile. La famiglia inizia a girare numerosi ospedali statunitensi in cerca di una soluzione. Tra i vari specialisti consultati, uno propone la terapia genica, un trattamento sperimentale che consente di correggere geneticamente le cellule staminali del sangue del bambino, senza dover ricorrere a un donatore. A Cincinnati sta per iniziare la sperimentazione, ma molte delle spese non sarebbero coperte dalla loro assicurazione; perdipiù Jacob sarebbe il primo bambino e i genitori non se la sentono.
Un altro medico propone loro di andare in Italia a fare il trattamento sperimentale, all’Istituto San Raffaele- Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) di Milano: a condurla il professor Alessandro Aiuti, un esperto del settore riconosciuto a livello internazionale, che ha già applicato con successo la terapia genica a un’altra immunodeficienza, l’ADA-SCID. In questo campo l’Italia è un paese leader. Qualcuno dà anche loro degli incoscienti, ma invece sono convinti che sia la strada giusta.
«Ci hanno proposto il trapianto di midollo osseo, per scoprire subito dopo che non c’erano donatori compatibili. Il professor Aiuti e il suo staff all’SR-Tiget ci hanno offerto una speranza in un momento in cui non avevamo alcuna possibilità di salvare la vita di nostro figlio. All’inizio eravamo un po’ titubanti all’idea di andare in un altro Paese e di sottoporre nostro figlio a un trattamento sperimentale che era stato testato soltanto su un altro bambino: sembrava spaventoso, ma presto ho realizzato, parlando con i nostri medici americani, che il professor Aiuti e il suo gruppo erano tra quelli con la maggiore esperienza al mondo in terapia genica. Visto il livello di competenza e la sicurezza che ci ha trasmesso quando ci ha parlato, abbiamo deciso di partecipare alla sperimentazione italiana. Avevamo 2 settimane per organizzarci e trasferirci in Italia per i successivi 5-6 mesi».
Il 9 giugno del 2011 Jacob è stato sottoposto alla terapia genica, che ha reso il suo organismo capace di produrre la proteina che gli mancava. Per la famiglia è stato un percorso complesso, sono dovuti rimanere 6 mesi in Italia lontani da famiglia e amici, con lungi periodi in isolamento in attesa che il sistema immunitario di Jacob riprendesse a funzionare. Per fortuna il padre ha potuto lavorare a distanza nella filiale milanese della sua azienda.
Finalmente, nell’agosto del 2011 arriva l’agognato ritorno negli Usa, ma non è una passeggiata: durante il viaggio aereo Jacob si sente male e appena arrivano sono costretti a portarlo in ospedale, dove rimarrà ben 3 settimane. La situazione sembra critica, ma poi Jacob riesce a superare la crisi. Per la famiglia è davvero una lunga strada con tanti ostacoli. L’assicurazione sanitaria, però, viene loro incontro: hanno buona assistenza domiciliare con logopedista, fisioterapista, infermiera. Jacob ha infatti bisogno di recuperare quelle tappe del suo sviluppo che ha perso nei lunghi mesi d’ospedale. Per esempio, non è ancora in grado di alimentarsi da solo e deve farlo con un tubicino nel naso: soprattutto quando era debole, aveva perso lo stimolo verso il cibo.
I genitori, però, vogliono riprendere una vita normale. All’inizio il bambino non può vedere nessuno, perché è a continuo rischio di infezioni: nessun membro della famiglia o amico può entrare in casa se ha anche un leggero raffreddore. A poco a poco, però il sistema immunitario di Jacob comincia a funzionare: «mio figlio aveva le sue piastrine e non correva più il rischio di pericolose emorragie. Il suo eczema è scomparso del tutto. Non dovevamo più fare le infusioni periodiche di anticorpi, ma soprattutto potevamo iniziare a interagire con il mondo. Niente più isolamento! La prima volta che ho potuto portarlo a un parco è stato meraviglioso: gli pulivo le mani ogni tre minuti, ero ansiosa, ma era bellissimo. I genitori degli altri bambini non si rendono conto di come tutte le normali attività per noi non siano affatto scontate e normali!». Ancora oggi la mamma parla con stupore di come suo figlio stia bene, di come viva una vita normale come mai avrebbero immaginato. Ha anche potuto riprendere il suo lavoro di medico, dopo qualche anno di stop per seguire il figlio: non è stato facile per lei, ma è oggi è felice e orgogliosa di esserci riuscita.
Oggi Jacob è un bambino felice: frequenta regolarmente la scuola, fa sport (calcio, snowboard), guardare il football, ascoltare la musica rock e suonare la batteria. Ha fatto tutte le vaccinazioni e ha anche avuto il COVID senza particolari problemi. Ha un bel carattere, che lo ha aiutato molto anche nei giorni più difficili e nel sopportare i numerosi controlli, che prevedono tanti aghi e l’estrazione del midollo. Non parla volentieri della sua malattia, soltanto l’ultimo anno di scuola ha iniziato a parlarne con qualche amico stretto. Il fatto che stia bene e che la malattia non abbia lasciato alcun segno in lui non lo stimola a parlarne. La mamma, invece, inizialmente restia, oggi che il figlio sta bene ha deciso di impegnarsi attivamente nell’attività di advocacy. È membro dell’associazione americana per la Wiskott-Aldrich e si sta impegnando perché la terapia genica messa a punto all’SR-TIGET venga resa disponibile come farmaco (nel maggio 2022 Orchard Therapeutics ha deciso di disinvestire in questo programma, come su tutte le altre immunodeficienze).
Jacob è molto affezionato alle infermiere e ai medici dell’SR-Tiget: le infermiere Morena e Miriam, la dottoressa Maria Pia Cicalese e, naturalmente, il professor Aiuti, che è andato a anche a trovarlo anche negli USA. Durante un compito di quinta elementare, alla richiesta di scrivere di una persona che avesse influenzato significativamente la sua vita, Jacob ha indicato proprio Aiuti: “Se non fosse stato per lui, molto probabilmente oggi non sarei qui”. Vorrebbe tanto tornare in Italia, da quando il follow-up dello studio (8 anni) si è concluso è dispiaciuto di non avere più l’occasione di tornarci una volta l’anno. Nel tempo ha anche stretto amicizia con altri bambini che hanno fatto la terapia genica, tra cui per esmepio Giovanni Price.
«Il nostro incontro con Telethon ha trasformato l’incubo peggiore di un genitore – vedere la vita del proprio figlio in pericolo – nel più bel regalo che potessimo ricevere: una nuova possibilità di vita per lui. Saremo sempre grati al prof. Aiuti, al suo gruppo e alla Fondazione Telethon per averlo reso possibile”.