Giuliano Poletti, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali (Foto Ansa).
I poveri assoluti in Italia raddoppiano: da 2,4 milioni del 2007 ai 4,8 del 2012. Il
primo Rapporto sulle politiche contro la povertà in Italia, presentato
oggi a Roma da Caritas italiana fotografa una realtà dove l'8 per cento della popolazione non può sostenere la spesa minima per abitazione, cibo e servizi necessari per standard di vita minimamente accettabili. E chiede risposte chiare al Governo.
«Innanzitutto», dice Cristiano Gori, della Cattolica di Milano e presidente del comitato scientifico che ha curato il Rapporto, «bisogna sapere se la lotta alla povertà è una priorità del Governo. Abbiamo visto che, nella seconda repubblica, le scelte fatte dai goevrni che si sono succeduti hanno dimostrato che questa non è stata la priorità per i diversi esecutivi. Se il Governo Renzi riterrà invece che questa è una priorità, bisogna poi vedere quale delle strade sceglie per intervenire: una, che è quella che a noi sembra migliore, è quella di un Piano nazionale contro la povertà che introduca il Reis, cioè il reddito d'inclusione sociale».
Gori ricorda che solo la Grecia e l'Italia, tra i Paesi europei non hanno introdotto questa misura. La Gran Bretagna ce l'ha già dal 1948 e tutte le altre nazioni hanno adottato questa misura ben prima di eusta crisi economica.
«La seconda strada è quella del "welfare come social card" con l'estensione degli 80 euro a tutte le famiglie in povertà assoluta, ma senza fornire servizi alla persona e senza coinvolgere il welfare locale». Una soluzione che ha già dimostrato tutti i suoi limiti fin dall'introduzione, da parte del ministro Sacconi, della prima social card di 40 euro.
«La situazione sta rapidamente precipitando», ha spiegato Gori ricordando che «tradizionalmente la povertà assoluta riguardava una fascia più anziana della popolazione, famiglie dal terzo figlio in poi - mentre adesso si diventa poveri anche con un secondo figlio -, e persone senza lavoro, mentre oggi la povertà assoluta tocca anche chi ha un impiego. A questo si somma la cosiddetta rottura degli argini, cioè, la povertà si è rafforzata dove già c'era e ha messo radici in zone, soprattutto nelle regioni del Nord, che si ritenevano al riparo».
Uno scenario preoccupante che «ha bisogno di una riflessione seria per costruire un welfare inclusivo, rafforzare gli enti locali e i servizi alla persona», ha sottolineato don Francesco Soddu, direttore di Caritas. E per il quale non si può perdere tempo.
Anche per questo, però, non hanno convinto le parole del ministro per il lavoro e per le politiche sociali Giuliano Poletti, intervenuto alla presentazione. Gianni Bottalico, presidente delle Acli, lo ha detto chiaramente: «Le dichiarazioni del ministro di quest’oggi, riferite alla lotta alla povertà, ci lasciano un po’ preoccupati, nel senso che non abbiamo riscontrato una volontà politica atta ad avviare un percorso strutturato contro la povertà».
Poletti, continuando a ribadire che non bisogna perdere tempo per affrontare questo problema, ha parlato di «un piano nazionale che recuperi tutte le risorse possibili, che le riqualifichi perché l'insieme trovi una modalità di applicazione migliore».
Non ne ha però specificato i tempi né le modalità. «Ci è stata assicurata attenzione alle nostre proposte», ha dichiarato il presidente delle Acli che, con Azione cattolica, Forum del terzo settore, Cgil, Cisl, banco alimentare, Save the children e tante altre associazioni partecipa al cartello "Alleanza contro la povertà", «ma sul piano della volontà di attivarsi da subito con un piano nazionale della povertà strutturato, pluriennale e con risorse da assegnare è stato evasivo. Questo ci lascia molto perplessi, così come ci lascia perplessi questa impostazione tutta orientata verso la social card, uno strumento che ha rivelato tutti i suoi limiti, piuttosto che a una soluzione come noi continuiamo a indicare più autorevole, più strutturata e più politica che è quella del Reddito inclusivo sociale».