Non ha rispettato nemmeno
la regola delle “quote rosa”,
quelle a salvaguardia della
parità di genere. Monsignor
Fausto Tardelli, 65 anni,
vescovo di Pistoia, ha sparigliato
tutte le carte con una mossa
originale e ha costituito, con decreto
canonico, un “Consiglio speciale” formato
da sole donne. Sono dodici, come
i dodici apostoli o le dodici tribù d’Israele.
Dovrà offrire pareri e suggerimenti
sulla vita della diocesi, aiutando
in questo modo il vescovo nel suo ministero
episcopale.
Qualcuno la potrà anche giudicare
mossa d’assalto o bizzarra o eccentrica.
In realtà il vescovo Tardelli ha soltanto
colto l’essenziale di una situazione e
ha aperto un processo: «È inutile negare
che nella Chiesa non esista una
questione femminile e non solo nella
Chiesa cattolica, ma in tutte le religioni.
Senza le donne potremmo chiudere
il catechismo. Eppure la loro voce non
si sente, manca il punto di vista femminile.
Lo si invoca, ma poi…».
E così monsignor Tardelli ha superato
la regola delle quote rosa, quasi
per riparare a un debito. Il canone 228,
comma 2, del Codice di diritto canonico
spiega che i laici «uomini e donne
» possono aiutare il vescovo come
consiglieri ed esperti. Lui l’ha citato
nel suo decreto, ma subito ha fatto la
mossa del cavallo: «Ho voluto dare un
segnale, nulla impedisce un Consiglio
di sole donne, organismo stabile di rilevanza
istituzionale che diventa un
messaggio chiaro».
«NOI SCONSIGLIEREMO»
Nell’episcopio
settecentesco di Pistoia, attorno al tavolo
coperto di broccato rosso, adesso
si avvia una nuova narrazione. Non ci
sono tutte. Tuttavia l’impresa risulta
vincente e potrebbe anche portare
a risultati clamorosi. C’è una suora,
Giovanna Cheli, che sorride e dice già:
«Noi sconsiglieremo». C’è un medico,
Letizia Vannucchi, che insiste sul fatto
“innegabile” di una «elaborazione
femminile nei processi di decisione».
C’è Irene Ginanni, dottorato in Filosofia, secondo figlio in arrivo, che allontana
«l’idea della rivincita» e spiega
che il vescovo ha solo «valorizzato il
genio femminile di cui con tanta profondità
parlò Karol Wojtyla».
Ancora, c’è Valentina Raimondo,
assistente sociale e presidente dell’Azione
cattolica diocesana, che dice
soltanto: «Bene, era ora, siamo sul
pezzo». E c’è Selma Ferrali, che è
responsabile dell’Ufficio diocesano
della pastorale del lavoro, segno evidente
che a Pistoia una parte di debito
è già stata pagata.
Il lavoro comincerà nei prossimi
giorni e nessuno anticipa nulla. Ma
è evidente che non si tratta solo di
organizzazione. Spiega monsignor
Tardelli: «Ci sono molte questioni da
approfondire su una maggiore partecipazione
femminile al governo della
Chiesa. Spesso in passato molte cose
non sono state affrontate con la scusa
di argomenti legati dall’ordine sacro.
Altre volte è stato il dibattito sul sacerdozio
femminile a provocare una
reazione di difesa di fronte a rivendicazioni
considerate femministe. Ma
essere prudenti non significa alzare
argini a difesa della casta dei maschi».
ANCORA ALL’ULTIMO GRADINO
Monsignor
Tardelli mette in fila nomi di mistiche
e teologhe, dottori della Chiesa,
donne audaci, memoria femminile
che rischia di essere inchiodata solo
al mito e ammette: «Sì, c’è un po’ di
timore del genio femminile». Lui già
quattro anni fa, quando era vescovo di
San Miniato, in una lettera in occasione
dell’8 marzo aveva chiesto perdono
alla donna «ancora all’ultimo gradino
in tante parti della terra», definendola
«capolavoro della creazione» e «l’opera
più sublime, più straordinaria, più
sorprendente che il buon Dio abbia
creato». Ora ha costituito il primo Consiglio
rosa nel panorama ecclesiale. Ragiona
di Karol Wojtyla, che ha esaltato il
“genio” delle donne, ma poi non ha fatto
riforme per loro: «Eppure ha gettato
un seme, spiegando che l’umanità ha
un debito incalcolabile verso le donne». Ragiona di papa Francesco, che ha
istituito una Commissione per il diaconato
femminile, «argomento tabù fino
a poco tempo fa: Bergoglio potrebbe
raccogliere ciò che Wojtyla ha seminato». Ma c’è altro. Soprattutto c’è quella
Commissione dimenticata suggerita a
Paolo VI dal Sinodo dei vescovi del 1971
per studiare il ruolo della donna nella
società e nella Chiesa che lavorò per tre
anni, presieduta da monsignor Enrico
Bartoletti, formata da 15 donne e 10
uomini, che per prima sbaragliò la regola
delle quote rosa: «Nella Chiesa vi
sono tanti fiumi carsici che scavano
la roccia con pazienza. Scompaiono
e riemergono, segno dell’instancabile
opera dello Spirito».
Il suo motto episcopale monsignor
Fausto Tardelli lo ha preso da un passo
di Isaia: In spe fortitudo, nella speranza
sta la forza. Spiega: «L’originalità di un
racconto femminile della storia della
salvezza è una carta che non abbiamo
mai veramente giocato, ma è arrivato
il tempo di avere più coraggio. E non
si tratta solo di maggior collaborazione,
ma di uno specifico femminile che
in una Chiesa schierata “in uscita” da
papa Francesco deve poter ottenere
totale cittadinanza».