Diversi incendi nella notte hanno distrutto quasi completamente il campo profughi di Moria, sull'isola greca di Lesbo, nel Mar Egeo nord orientale, luogo simbolo della condizione dei rifugiati in Europa, visitato da papa Francesco il 16 aprile del 2016. Questa mattina il campo si presenta semi distrutto, con il fumo che ancora sale dai container e dalle tende bruciate. Per fortuna non si segnalano vittime.
Sovraffollato, con oltre 12.000 profughi (quattro volte di più della regolare capienza) negli ultimi giorni Moria è stato teatro di scontri dopo che 35 ospiti erano stati trovati positivi al Covid.
Le autorità greche avevano deciso di isolare i positivi all'esterno del campo, insieme ai famigliari e ad altre persone venute in contatto.
In seguito al rifiuto di alcuni di loro e alle resistenze all'evacuazione, in tarda serata altre persone hanno deciso di fuggire dal campo, rifugiandosi sulle montagne circostanti per allontanarsi dal rischio di contagio.
Si sono sviluppati però anche degli scontri, che potrebbero essere il motivo dell’incendio. Migliaia di persone sono fuggite a piedi verso Mitilene, città portuale e principale centro dell'isola, ma sono stati bloccati dai mezzi della polizia prima che arrivassero in città.
"È una situazione difficile perché tra i migranti scappati dal centro potrebbero esserci dei contagiati", ha detto il sindaco di Mitilene, Stratis Kytelis. Altri migranti si sono rifugiati sulle colline che circondano il campo.
Il governo greco ha proclamato lo stato di emergenza. In giornata è in programma un vertice tra il primo ministro Mitsotakis e il capo di stato maggiore per stabilire le misure da adottare.