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sabato 17 maggio 2025
 
 

Matrimoni, Italia sempre più fragile

30/07/2012  Aumentano le separazioni e diminuiscono leggermente i divorzi. I matrimoni durano, in media, tra i 15 e i 18 anni. E il fenomeno si diffonde anche tra le coppie meno giovani.

Ha quasi il sapore di un consueto appuntamento estivo. Non sempre piacevole, purtroppo. Infatti, puntuale come un orologio svizzero, l’Istat ha reso pubbliche, nel mese di luglio, le prime elaborazioni statistiche delle sue indagini relative all’andamento del matrimonio, delle separazioni e del divorzio in Italia. E, come da copione, subito dopo si è sollevato un soffocante polverone di clamore e confusione da parte dei media e, in generale, da parte dell’opinione pubblica.

Ci preme, in questa sede, fare un minimo di chiarezza sui dati principali. Partiamo dalle cifre attribuite alle separazioni e ai divorzi. Il report sintetico messo a punto con serio rigore dall’Istituto statistico nazionale esordisce nel modo seguente: «Nel 2010 le separazioni sono state 88.191 e i divorzi 54.160; rispetto all’anno precedente le separazioni hanno registrato un incremento del 2,6% mentre i divorzi un decremento pari a 0,5%». Le percentuali, dunque, ci annunciano che nel nostro Stato si divorzia leggermente meno rispetto al recente passato, e che, tuttavia, ci si separa di più. Ma non è tutto. L’analisi successiva traccia un percorso più dettagliato sull’andamento nel tempo del fenomeno: «I tassi di separazione e di divorzio totale mostrano, per entrambi i fenomeni, una continua crescita: se nel 1995 per ogni 1.000 matrimoni erano 158 le separazioni e 80 i divorzi, nel 2010 si arriva a 307 separazioni e 182 divorzi».

Non meno allarmante si rivela lo sguardo sulla durata media del matrimonio che «al momento dell’iscrizione a ruolo del procedimento risulta pari a 15 anni per le separazioni e a 18 anni per i divorzi», e sull’età media alla separazione «di circa 45 anni per i mariti e di 42 per le mogli; in caso di divorzio raggiunge, rispettivamente, 47 e 44 anni». Secondo i ricercatori, questi valori sono “lievitati” a causa «della posticipazione delle nozze verso età più mature e per l’aumento delle separazioni con almeno uno sposo ultrasessantenne». Attualmente, la procedura più frequentemente adottata dai coniugi è quella consensuale: «nel 2010 si sono concluse in questo modo l’85,5% delle separazioni e il 72,4% dei divorzi».

In merito alle differenze geografiche, «la quota di separazioni giudiziali (14,5%) è più alta nel Mezzogiorno (21,5%) e nel caso in cui entrambi i coniugi abbiano un basso livello di istruzione (20,7%)». Tuttavia, l’instabilità coniugale proietta situazioni molto diverse sul territorio: «nel 2010 si va dal valore minimo di 213,4 separazioni per 1.000 matrimoni che caratterizza il Sud al massimo osservato nel Nord-ovest (383,4 separazioni per 1.000 matrimoni)». Fatto sta che la crescita più consistente si è comunque registrata nel Mezzogiorno, dove le misure sono più che raddoppiate: per esempio, dal 1995 al 2012 «si è passati dal 70,1 al 216,5 per 1.000 matrimoni in Campania, e da 78 a 228,9 in Sicilia». Le regioni del Nord e del Centro, che si attestavano già a livelli più elevati, hanno fatto registrare, invece, sempre tra il 1995 e il 2010 «un incremento più contenuto, soprattutto al Nord, dove la variazione osservata è stata del 50%». 

L’indagine rivela, inoltre, che ben «il 68,7% delle separazioni e il 58,5% dei divorzi hanno riguardato coppie con figli avuti durante il matrimonio», e che «l’89,8% delle separazioni di coppie con figli ha previsto l’affido condiviso, modalità ampiamente prevalente dopo l’introduzione della Legge 54/2006».  Rispetto alla gestione economica, infine, «nel 20,6% delle separazioni è previsto un assegno mensile per il coniuge (nel 98% dei casi corrisposto dal marito). Tale quota è più alta nelle Isole (24,9%) e nel Sud (24,1%), mentre nel Nord si assesta sul 17%. Gli importi medi, invece, sono più elevati al Nord (520,4 euro) che nel resto del Paese (447,4 euro). Nel 56,2% delle separazioni la casa è stata assegnata alla moglie, mentre appaiono quasi paritarie le quote di assegnazioni al marito (21,5%) e quelle che prevedono due abitazioni autonome e distinte, ma diverse da quella coniugale (19,8%)».  

Secondo Pietro Boffi, ricercatore del Cisf (Centro Internazionale Studi Famiglia), «benché ancora inferiori a quanto di registra nel resto d’Europa, i dati riguardanti separazioni e divorzi mostrano un’evidente fragilizzazione del legame coniugale. Se un tempo separarsi e divorziare era riservato a coppie ancora giovani (la famosa “crisi del settimo anno”), di cultura e reddito più elevato, prevalentemente del Nord, ora possiamo dire che il fenomeno si è “normalizzato”, si è diffuso trasversalmente in tutta la società italiana».

«Il rischio è», conclude l’esperto, «che non si riesca più a percepire l’enorme quantità di sofferenza e disagio (per i figli, ma non solo) che la rottura del legame coniugale comporta, e che non si mettano in atto specifici interventi per prevenire quello che resta un’indubbia causa di disgregazione e di  impoverimento per l’intera società».

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