«Ricordiamo Saban,
giovane donna che nel 2006 è morta in un incidente mentre cercava
vestiti in un cassonetto per ripararsi dal freddo; vogliamo ancora
ricordare al Signore Costantin e Cristian, morti nel tentativo di
scaldare la loro baracchina, cinque anni fa vicino a
Chiaravalle. Ricordiamo Marian, adolescente morto in un incendio
nella fabbrica dove abitava, e altri tre romeni travolti da un treno
a Sesto San Giovanni mentre cercavano materiali per scaldarsi vicino
alla ferrovia. Ricordiamo Enea Emil, morto nel giorno del suo
tredicesimo compleanno, nel rogo della sua baracchina in via Novara”.
Sono queste le storie ascoltate durante la preghiera organizzata a Milano, come ogni primo novembre, dalla Comunità di Sant’Egidio per ricordare «i fratelli
defunti, Rom e Sinti, che ci hanno lasciato». Quest’anno, nella parrocchia dei Santi Nereo e
Achilleo, duecento Rom (cattolici, ortodossi, pentecostali e
musulmani) hanno pregato insieme agli amici “gagi” - come chiamano
i non rom - del quartiere e della Comunità. Con loro c’è don Mario
Riboldi, 84 anni, della pastorale dei Rom e Sinti della diocesi di
Milano; insieme a padre Luigi Peraboni, anche lui presente, vive
in un piccolo campo alle porte di Milano e gira
l’Italia e l’Europa tra i vari gruppi zigani, di cui ha imparato
le lingue e per i quali ha inventato canzoni religiose e
tradotto i Salmi e il Vangelo di Marco.
Nella loro lingua, il romanès, è stato letto un brano del Vangelo e Valentin e Pietro, due Rom romeni, pregano per la convivenza tra rom e gagi e per i più poveri della città e del mondo. Ma è il lungo elenco di morti che unisce nella commozione gagi e rom, perché – come dice Raluca, 17 anni, con un padre ucciso in Romania da una guardia forestale – “almeno da morti, davanti a Dio, siamo tutti uguali”. Tante sono storie di morti ingiuste, rimosse dalla memoria delle nostre città. Le ultime, dello scorso settembre: Cornel, 56 anni, ucciso dal coperchio di un cassonetto della discarica dove stava cercando qualcosa da recuperare tra i rifiuti dei milanesi, e Lucian, morto da pochi giorni, dopo un lungo periodo di coma per essere caduto dal secondo piano dell’edificio abbandonato e senza protezione dove viveva.
Spesso sono poi storie di bambini. Come Florentina, morta a 5 anni per la scarica elettrica ricevuta da un palo della luce. O come Maria, una neonata morta di freddo a Legnano, non lontano da Milano. Eppure, da alcune di queste tragedie sono nate grandi amicizie. I parenti dei piccoli fratelli Sabina, Nelson, Arman e Monica, Rom slavi morti nel rogo della loro roulotte nell’inverno del 1995, erano presenti alla preghiera: in quell’occasione, iniziò una storia di amicizia con la Comunità di Sant’Egidio che è cresciuta in questi 18 anni.
È stato così anche dopo la morte di Elena, annegata nel 2007 a 4 anni nel canale dietro all’abbazia di Chiaravalle: dalla vicinanza nel momento della disperazione è nato un legame che ha reso gli amici di Sant’Egidio parte della sua famiglia, che ora vive in una casa proprio grazie all’aiuto della Comunità. Nel ricordo dei defunti, si ascoltano anche storie di morti per malattie o incidenti, che ricordano come il mistero della morte e della vita non faccia differenza tra rom e gagi. Nicoleta, 10 anni, stringe forte la mano del papà quando sente il ricordo della mamma, portata via da un tumore due anni fa. Cristina si impegna per accendere una candela al ricordo della nonna, con cui è cresciuta, scomparsa da pochi mesi.
La Comunità di Sant’Egidio spiega così perché da anni invita a pregare Rom e Sinti insieme a tanti italiani: «Vogliamo ricordare vite spesso disprezzate e spezzate inutilmente per non essere indifferenti. La preghiera insieme ci aiuta a essere uomini e donne spirituali. Pregare per chi è morto unisce chi vive in un’alleanza nuova di amore e solidarietà e ci mostra un modo per ridare dignità. Ai rom, spesso schiacciati dai problemi pratici e dallo stigma. E alla città che, vinta dall’indifferenza, rischia di perdere la dimensione umana».
Mentre si sente don Mario benedire in romanès e Nicoleta si asciuga le lacrime, mentre Cristina e altri bambini accendono le candele, viene in mente l’appello di Papa Francesco per “una Chiesa povera per i poveri”. Da qui, dal commuoversi di fronte a un dolore condiviso, nasce una speranza:«Oggi, in questa casa di Dio – commenta Ulderico Maggi di Sant’Egidio – siamo tutti milanesi perché abbiamo trovato e vorremmo trovare sempre di più una patria comune. Questa sia la nostra città: città di tutti senza divisioni e discriminazioni. Questa chiesa, questo giorno, ci dicono che è possibile vivere insieme a Milano in pace».