«L’aborto diventa un vero obbligo sociale. La società dice alla donna che lei quel figlio non lo deve accogliere», scrive la Comunità Papa Giovanni XXIII nel suo Rapporto presentato lo scorso 25 maggio. «Chiunque può permettersi di fare violenze psicologiche e con insistenza imporre, ricattare, in certi casi arrivare alla violenza fisica, perché vada ad abortire sapendo che non subirà conseguenze».
Per questo la Comunità, in quanto Ong accreditata presso il Consiglio dell’Onu, ha presentato nel 2014 una documentata denuncia sull’istigazione all’aborto in occasione del periodico punto della situazione sui diritti umani in Italia.
Lo scorso anno, la Comunità è stata addirittura accusata di essere contro le donne per un’iniziativa che ripete ogni settimana a Bologna, Rimini, Modena e altre città. Si tratta della “Preghiera pubblica per la vita nascente”, iniziata da don Benzi 16 anni fa sul marciapiede davanti al Policlinico Sant’Orsola del capoluogo emiliano.
Una preghiera per i bambini mai nati. Ne spiega il senso Paola Dalmonte, della Comunità: «Non alziamo la voce, non esibiamo scritte offensive o accusatorie, non “molestiamo” nessuna donna. Il nostro obiettivo è imitare Maria che, non avendo più alcuno strumento per impedire che suo figlio Gesù venisse ucciso, volle stargli il più vicino possibile, fino alla fine».
In dialogo, anche con chi la pensa diversamente
La volontaria ha raccontato che l’associazione, una volta ricevute le accuse, ha proposto ai suoi critici un momento di confronto. «Nessun fatto», dice Dalmonte, «è più concreto dell’apertura al dialogo se si vogliono scardinare le ideologie che fomentano discordia e guerre. Pochi temi come l’aborto creano da sempre fazioni opposte sostenute in gran parte da posizioni ideologiche».
Alcune realtà hanno accettato l’invito «non senza pregiudizio ma anche con la disponibilità ad ascoltare un diverso punto di vista», sottolinea la volontaria della Papa Giovanni. «Nonostante la diversità di approccio e scelte finali rimaste decisamente in opposizione, abbiamo potuto constatare che ci sono tematiche che condividiamo e per cui potremmo unire le energie. Per esempio per chiedere di ampliare gli spazi in cui le donne possano trovare informazioni sui loro diritti di madri e lavoratrici, o difendere insieme quel 37% di donne che rinunciano alla maternità per pressioni fisiche e psicologiche».
Al confronto sono seguiti passi concreti. I gruppi abortisti hanno rinunciato al boicottaggio dell’azienda agricola della Comunità, mentre quest’ultima ha deciso di spostare il luogo di preghiera dal marciapiede antistante le finestre della Clinica ginecologica a un altro luogo, in prossimità di uno degli ingressi dell’ospedale. Per Paola Dalmonte «la possibilità di dialogare in se stessa è già un risultato, che ha fatto crescere in molti la stima reciproca. Spostando il luogo della preghiera vogliamo dimostrare che non c’è l’intento di dare giudizi o muovere accuse. La nostra è una “presenza per” e non una “manifestazione contro”».