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venerdì 09 giugno 2023
 
tangentopoli
 

In principio fu l'arresto di Mario Chiesa

17/02/2022  Storia di un'inchiesta dilagata a macchia d'olio che spazzò via in poco tempo i partiti "storici" nati nel Novecento. Un bilancio amaro, 30 anni dopo

L’inchiesta “Mani Pulite” nasce il 17 febbraio del 1992, quando il presidente della casa di riposo milanese Pio Albergo Trivulzio, il socialista Mario Chiesa, viene colto in flagranza di reato mentre ritira delle mazzette da un fornitore “microfonato” che si è messo d’accordo con la Procura. A guidare l’azione è il sostituto procuratore Antonio Di Pietro, molisano residente a Curno, ex operaio in Germania, ex commissario di polizia, entrato da poco nei ranghi della magistratura dopo essersi fatto notare a Bergamo nel famoso delitto del “mostro di Leffe”. Il segretario del suo partito Bettino Craxi, che in quel momento guida insieme ad Andreotti e Forlani la maggioranza che sostiene il governo, lo definisce “un mariuolo” cercando di prenderne le distanze. In realtà il sasso comincia a rotolare per diventare valanga, con un effetto domino impressionante: politici che chiamano in causa politici che chiamano in causa imprenditori che chiamano in causa politici e imprenditori sempre più grossi fino a travolgere tutto il sistema dei partiti del Novecento, alcune tra le principali imprese italiane, multinazionali di altissimo livello, aziende di Stato come l’Eni. Si aprirà la terribile stagione dei suicidi, circa 40, tra cui Gabriele Cagliari e Raul Gardini. Trent’anni dopo il principe dei cronisti giudiziari del "Corriere della sera" Luigi Ferrarella ha ricostruito con il consueto scrupolo certosino il bilancio di quella che due cronisti di allora definirono Tangentopoli: solo a Milano si sono avuti 2.565 indagati e 1408 condannati o patteggiamenti (tutti gli altri sono stati assolti o imputati di reati prescritti). Le somme rientrate all’erario ammontarono a 140 miliardi di lire, circa 70 milioni di euro di oggi.

Il vecchio carcere ottocentesco milanese di San Vittore, la casa circondariale di imputati in attesa di giudizio, fu rinominato “grand hotel” per via delle porte girevoli da cui passavano imprenditori, politici, funzionari, amministratori. C’era un gran via vai. Non trattandosi di “avanzi di galera” o “malavitosi” i malcapitati tendevano a cantare come canarini per uscire il prima possibile. L’assessore Walter Armanini, condannato in giudicato e recluso nel carcere di Orvieto, in semilibertà presso un negozio di lista nozze della città umbra, mi raccontò la sua prima notte passata a combattere con l’aiuto di uno scopino contro una pantegana che non ne voleva sapere di andarsene da dove era venuta. Come è noto l’allora procuratore Francesco Saverio Borrelli creò un pool composto - oltre a Di Pietro -  da Gherardo Colombo, il magistrato che insieme a Giuliano Turone aveva scoperto le liste della P2 a Villa Wanda, il “dottor sottile” del pool Pier Camillo Davigo e via via altri sostituti che si aggiungevano o si staccavano dal pool. «Dopo gli interrogatori andavo nell’ufficio di Davigo», mi ha raccontato Di Pietro in un’intervista «gli mettevo sul tavolo una pila di verbali e aggiungevo: qui ci sono due chili e mezzo di porcate, trasformameli in atti giudiziari».

I magistrati del pool avevano scoperchiato un vero e proprio sistema endemico definito “dazione ambientale” (chissà se sapevano che gli antichi romani chiamavano “ambitus” la mazzetta), nel senso che il sistema di corruzione e concussione – i due principali reati – era quasi automatico, una vera e propria prassi in caso di appalti, lavori pubblici, commesse e via dicendo. In pratica c’era chi prendeva e chi dava senza nemmeno bisogno di dire nulla. Le indagini di Milano si estesero in tutte le province d’Italia, da Monza a Palermo. Ci fu un eccesso di manette? Agli storici l’ardua sentenza. Fatto sta che l’allora Csm non fece nulla, o quasi. «Ci fu un periodo in cui pareva che se un magistrato non aveva indagato un bel po’ di politici o ammnistratori, quando tornava a casa la sera la moglie se ne lamentava», mi disse Mino Martinazzoli, avvocato, ex ministro della Giustizia e segretario del Partito popolare. Per Martinazzoli l’eccesso di potere e lo sconfinamento del “terzo potere” nel primo vi fu quando i giudici del pool  andarono in tv per fermare il cosiddetto “decreto salva ladri” che derubricava il reato di finanziamento dei partiti. C’era stato il famoso discorso di Craxi alla Camera, in cui ammetteva che vi era un flusso di finanziamento illegale per il quale, se venisse criminalizzato «allora gran parte del sistema sarebbe criminale». La stessa sorte toccò al ministro Biondi, che voleva limitare il ricorso alla custodia cautelare. Il resto lo fecero i mass media dando vita a un vero e proprio circo giudiziario, con mute di giornalisti che stazionavano a Palazzo di giustizia, arresti show (il peggiore fu quello di un assessore finito su una lettiga per un malore e fotografato senza pietà). Ci fu persino chi mise una postazione fissa per dare vita a dirette del tipo "tutti gli arresti minuto per minuto"

I partiti storici del Novecento si squagliarono come neve al sole, dalla Democrazia Cristiana al Partito Socialista, fino al Partito Comunista (anche se fu meno coinvolto negli scandali, a parte la corrente dei cosiddetti “miglioristi” anche per via del muro di alcuni politici coinvolti). La caduta del Muro e le picconate di Cossiga avevano preparato il terreno e dato una spinta fortissima. Fu questo indirettamente il propellente di Mani Pulite. Le elezioni del 1992 e del 1994 furono fatali e misero la magistratura italiana in condizione di “supplenza” del sistema dei partiti. Una fase di sconfinamento del proprio ruolo che forse sta andando esaurendosi proprio in questi giorni, 30 anni dopo.

C'è chi definisce quel periodo - per analogia con le Repubbliche francesi -  come lo spartiacque tra Prima e Seconda Repubblica, per via della scomparsa dei partiti del Dopoguerra. L'abbiamo usata anche noi, è ormai accettata e riconosciuta, ma a ben vedere è una definizione impropria, o quantomeno di sapore politico-giornalistica, poiché poco o nulla cambiò sotto il profilo istituzionale, a parte la legge elettorale (che però non è una legge costituzionale ma una legge ordinaria). Dal punto di vista della nostra Carta e dell'assetto dei poteri siamo ancora oggi nella Prima Repubblica, non abbiamo visto i profondi cambiamenti costituzionali che ci furono in Francia nel 1958 con la "Cinquième République" di De Gaulle o nel 1945 con la Quarta (che i francesi chiamano "la sfortunata"). Quanto alla corruzione - soprattutto quella privata, che a Tangentopoli ci fu eccome perchè non si rubava solo per il partito e comunque se si rubava per il partito poi si faceva carriera, era come comprare potere -  non pare che il fenomeno sia stato cancellato e forse nemmeno troppo arginato.

 

 

 

 

 

 
 
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