Francesca Inaudi con Gigi Proietti in Una pallottola nel cuore
«Si pensa che la vita di un attore
sia sempre tutta rosa e fiori. A volte capita ed è bellissimo. Ma la nostra
vita, specie quando non hai ancora raggiunto l’affermazione, è fatta anche di
grandi frustrazioni e di un immenso logorio mentale». Francesca Inaudi ha solo un piccolo
ruolo in Tre tocchi, il film di Marco Risi
presentato al Festival di Roma e nelle sale dal 13 novembre. Ma è un lavoro a
cui tiene molto perché è una pellicola che racconta le vicende di un gruppo di
attori lontani dalle luci della ribalta ripresi nella loro quotidianità, tra
grandi speranze e grandi miserie. Senese, 36 anni, ha sempre lavorato sodo, dal diploma alla scuola del Piccolo Teatro di Milano diretta da
Giorgio Strehler ai successi al cinema e nelle serie televisive e
rivendica con orgoglio quest’impegno.
In televisione la vediamo in queste settimane su
Rai 1 nella fiction Una pallottola nel cuore nei
panni di una cronista che aiuta un collega più anziano (che non sa essere suo
padre), interpretato da Gigi Proietti, a risolvere delitti rimasti insoluti. Confida che «per preservare la mia dignità di
attrice ho cercato nei primi giorni di riprese di rapportarmi a Gigi in modo
molto professionale, senza cercare di far trapelare troppo la grande ammirazione
che provo nei suoi confronti. Da parte sua, lui mi ha sempre trattata alla
pari: non mi ha mai fatto sentire il peso della sua importanza per tutto ciò
che ha fatto. Eppure, la prima volta che mi ha concesso un apprezzamento per
come avevo recitato una scena, è stato per me un momento molto emozionante».
È molto esigente con
sé stessa?
«Lo sono in tutto ciò che faccio. Penso
sempre che ci sia qualcuno che mi guarda e io devo rispondere al meglio alle
sue aspettative. Questo qualcuno può essere il prossimo, i miei genitori, i
figli che avrò un giorno, Dio... Io cerco sempre di essere all’altezza, pur con
tutte le mie fragilità».
I personaggi che interpreta li porta con sé o li
lascia sul set?
«Dipende, a volte mi accompagnano per un pezzetto della mia
vita. Altre volte mi abbandonano, ma mi restano le persone che ho incontrato e
forse questa è la cosa più bella».
Le sarebbe piaciuto vivere nell’Ottocento come la
principessa patriota Cristina di Belgioioso che ha interpretato nel film Noi credevamo?
«No, sono felice di vivere il mio tempo. Mi sarebbe piaciuto
solo per la moda: trovo che le donne allora fossero immensamente più eleganti e
quell’alone di mistero che l’essere più coperte conferiva loro non fosse
sbagliato. Mi affascina inoltre il personaggio di Cristina di
Belgioioso, perché è stata un’antesignana del femminismo, per la sua capacità
di porsi alla pari con gli uomini prima di tutto da un punto di vista
intellettuale. Molti dei suoi scritti sono attualissimi e credo che andrebbero
riscoperti, soprattutto dalle ragazze. Far sapere che ci sono state nella
nostra storia delle figure di intellettuali femminili della sua statura penso
sia molto importante per la coscienza della nostra dignità di donne, un tema su
cui, purtroppo, c’è ancora tanta strada da fare».
Dalla principessa di Belgioioso
all’esuberante Gaia di Tutti pazzi per amore: entrambe sono
donne molto libere. Cos’è per lei la libertà?
«Mia madre mi ha sempre detto che il
primo desiderio che ha avuto quando mi ha visto appena nata è stato che avessi
sempre la libertà di scegliere nella mia vita. Però mi ha pure insegnato che la
mia libertà finisce quando lede quella degli altri».
La sua infanzia è stata felice?
«Molto. Sono stata figlia unica fino a 16 anni e i miei
genitori non mi hanno viziata, ma mi hanno tanto coccolata. E poi sono
cresciuta in un luogo meraviglioso come la campagna nei dintorni di Siena».
Nella fiction Una pallottola nel
cuore è madre di un bambino di 8 anni. Che effetto le fa
interpretare questo ruolo?
«Mi piace molto perché serve a togliermi
di dosso l’etichetta di eterna “giovane attrice” che rischia di limitarti. E
poi mi piacciono molto i bambini, i loro sguardi, le loro paure, la loro
capacità di vedere le cose da una prospettiva totalmente diversa dalla nostra.
Mi piace in definitiva la loro innocenza, che purtroppo c’è sempre meno, anche
in loro».